Architects – Holy Hell

La morte come evento irrimediabile. La morte come rinascita e l’inferno come salvezza.

Era il 2016, la carriera degli Architects sembrava essere arrivata per sempre al capolinea. Dopo l’uscita del loro ultimo lavoro, All Our Gods Have Abandoned Us, la morte prematura a soli 28 anni del chitarrista fondatore della band, Tom Searle, venuto a mancare a causa di un tumore alla pelle, li aveva sprofondati in un tunnel senza via d’uscita. La forza di ricominciare non c’era, la rabbia era troppa e il senso di perdita incolmabile. Poi qualcosa è cambiato, grazie al sostegno dei fan e alla necessità di non lasciare che andassero invano i sogni per un progetto in cui Tom aveva investito tutti i suoi ideali. A quel punto, rialzarsi era diventato quasi un dovere morale sia per loro stessi, ma anche e soprattutto per Tom.

Il risultato è stato Holy Hell, uscito per Epitaph lo scorso 9 novembre. Un album devastante in tutta la sua portata emotiva, in cui viene esplorato il valore della sofferenza vissuta a livello personale ed umano. Il fil rouge che tiene unite le tracce, inutile dirlo, è fortemente legato al tema della morte (come però già lo era stato l’album precedente, ndr), ma trattato con una maturità nuova, più “incentrato sull’aspetto del dolore e sul modo in cui questo viene elaborato, gestito e vissuto”, per usare le parole del batterista Dan Searle, fratello gemello di Tom (che certamente ha vissuto un lutto maggiore rispetto agli altri membri della band).

Ogni dettaglio di questo lavoro, pertanto, è studiato al puntino; nulla è lasciato al caso e questo è dimostrato dalla produzione curata nei minimi particolari, dando sfoggio di una tecnica compositiva che pochi nel genere metalcore hanno il merito di poter vantare. Le modulazioni nel suono, i vari stop and go, le doppie casse, l’orchestralità sinfonica, i momenti di essenzialità strumentale controbilanciata da macigni granitici contribuiscono a costruire un’architettura di cui sono maestri indiscussi. E con questo album lo ribadiscono, nonostante sia venuto a mancare uno dei tasselli principali dietro l’elaborazione compositiva dei pezzi. Questa era la prova del nove per la band di Brighton all’attivo dal 2004, con sette album già presenti nella loro discografia. I fan aspettavano il loro ritorno con ansia già da qualche mese, dopo l’uscita del singolo “Doomsday” a fine 2017, seguito da “Hereafter”, “Royal Beggars” e “Modern Misery” e dal documentario che ne accompagna la distribuzione discografica, dal titolo “Holy Ghost” (come cita un passaggio in “A Wasted Hymn”). E si può dire, senza timore, che hanno superato a testa alta gli inevitabili confronti “pre” e “post”.

Dal punto di vista musicale, molte scelte stilistiche riprendono il percorso avviato dall’album precedente, ma con un suono ancora più distillato, netto, fluido, che incastra alla perfezione il fragore granitico dei riff di chitarra alle linee sinfoniche degli archi orchestrali tra cui sono disseminati accenni elettronici (molto più consistenti in questo album che altrove). Il tutto avvolto e trainato dalla ben nota incisività vocale di Sam Carter, esplosiva nelle parti urlate che partono da dentro l’anima e intensa quando si concede al cantato pulito. L’atmosfera che cosparge il sound di questo disco è fortemente intrisa da una componente cupa, quasi crepuscolare, ribadita dall’apparato testuale. Ma non c’è oscurità che sia definitiva e non lasci un piccolo barlume di speranza. Questo è il messaggio più forte che il grido straziato di Holy Hell vuole lanciare: la presa di coscienza della rinascita dopo la morte.

In definitiva, un lavoro catartico, estremamente intenso per la portata testuale e per il trasporto sonoro. Andando anche un pelino oltre le aspettative, gli Architects hanno confezionato un album perfetto per commemorare questo momento della loro storia.

Tracklist:

  1. Death Is Not Defeat
  2. Hereafter
  3. Mortal After All
  4. Holy Hell
  5. Damnation
  6. Royal Beggars
  7. Modern Misery
  8. Dying To Heal
  9. The Seventh Circle
  10. Doomsday
  11. A Wasted Hymn

 

A cura di: Francesca Mastracci

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