Ash – Islands

Era il 1996 quando un gruppo di ragazzi poco più che adolescenti provenienti da una piccola cittadina dell’Irlanda del Nord, Downpatrick, fece la propria irruzione nel mercato musicale dell’epoca con un esordio adrenalinico in grado di scardinare molte delle sonorità del genere brit-punk in voga in quegli anni. La loro idea era quella di venare il genere con quelli che erano i suoni più caustici del punk esploso in UK negli anni 70. Loro sono gli Ash e l’album in questione era, per l’appunto, 1977 (tributo all’anno d’oro delle sperimentazioni settantiane di band come Sex Pistols, Buzzckocks e Ramones).

Oggi, dopo quasi un quarto di secolo dal loro esordio, tornano alla ribalta con Islands, un disco fresco e accattivante (autoprodotto dal leader Thom Wheeler per Infectious Records) con tutta la carica del sound che li ha contraddistinti nel corso degli anni, dove fanno confluire il loro estro e il gusto pionieristico verso espressioni artistiche non convenzionali. Tra il 2009 e il 2010 furono infatti i primi a lanciare un’idea inedita di fruizione discografica, pubblicando la bellezza di ventisei singoli dilazionati a distanza di poco tempo l’uno dall’altro (e riuniti in seguito nel distico di compilation dal titolo A-Z). L’dea senza dubbio ambiziosa e innovativa, verteva su una comunicazione musicale immediata e facile da raggiungere, un po’ come il loro sound. Particolare e ricercato, ma soprattutto diretto. Con l’album successivo del 2015, Kablammo!, decisero di tornare al formato album tradizionale. L’idea dei singoli lasciava spazio a troppa dispersione frastagliata, era ovvio.

Con questo ultimo disco la band riprende il discorso intavolato nel lavoro precedente, tra il recupero dei fasti del passato e un desiderio di spingersi oltre. Il primo singolo estratto per anticipare l’album è stato infatti “Buzzkill”, brano veloce e urticante che più si avvicina agli esordi della band, con la presenza di guest quali Damien O’Neill e Mickey Bradley degli Undertones. Nel disco, però, si ravvisa (anche in modo abbastanza riconoscibile in effetti) il contatto con i Weezer, con cui la band ha condiviso il palco in occasione del loro tour dello scorso anno. Le chitarre incendiarie e gli effluvi elettrizzanti di Rivers Cuomo e soci filtrano attraverso pezzi diversi tra loro eppure con un retrogusto comune, come ad esempio la traccia opener “True Story”, un power-pop rockeggiante dal ritornello singalong, o anche in “Annabel” classicone con fraseggi di chitarra esplosivi, come lo sono anche in “All that I have left”, dove però si colorano di quel pizzico di malinconia. Gli altri capitoli che compongono il disco ondeggiano costantemente tra sonorità frizzanti power-pop (“Silver Suit”, “Somersault”), ritmiche movimentate franzferdinandiane (“Confessions In The Pool”) e sonorità oscure, ruvide e dal gusto magnificamente decadente (come nel caso di “Did Your Love Burn Out?”, dove sembra quasi di ascoltare gli Arctic Monkeys del pre-Tranquility Base Hotel & Casino). Capitolo conclusivo che, come le ondate sonore dei brani che l’hanno preceduta, si chiude fluttuante con chitarre e tastiere incastrate in un lento accumulo che esplode in fase finale e si riapre nella traccia nascosta molto brit anni 70.

Onde che si infrangono sulle cose di isole lontane per poi tornare alle proprie rive. Islands vuole infatti essere un omaggio a tutte le isole visitate dalla band anche durante i vari tour, preziose fonti di ispirazione per la scrittura dei testi (la cui importanza ha da sempre rivestito un ruolo primario per il trio). L’omaggio principale va però a una delle isole Skellig, Michael, filmata in varie scene dei capitoli di Star Wars (The Force Awakens e The Last Jedi), mostrata nella copertina del disco in uno spettro cromatico capovolto e sottosopra. Una metafora della loro musica in costante bilico tra equilibri dicotomici, dove troneggia un’alternanza di spigolosità e fluttuazioni.

Un buon ritorno, strutturato e compatto. Nulla di immortale, eppure sempre quel qualcosa destinato a restare. Nostalgia del passato e spinte verso qualcosa di nuovo, come d’altronde è anche naturale che sia per chi ha inaugurato in tenera età la propria carriera e si mantiene ancora sempre un pelo sopra la linea dell’acqua, senza travolgere, ma senza nemmeno mai sprofondare.

 

Tracklist:

01 True Story

02 Annabel

03 Buzzkill

04 Confessions In The Pool

05 All That I Have Left

06 Don’t Need Your Love

07 Somersault

08 Did Your Love Burn Out?

09 Silver Suit

10 It’s A Trap

11 Is It True?

12 Incoming Waves

 

 

A cura di: Francesca Mastracci

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