Hot Water Music – Light it Up

Esattamente cinque anni fa usciva Exister, album che segnava il ritorno sulle scene degli Hot Water Music, una band storica nel panorama del punk-rock/post-hardcore in stile Bad Religion e Fugazi con una storia più che ventennale alle spalle. Ma da quando il loro primo LP, Finding the Rhythms, vide la luce nel 1995 ne sono accaduti di eventi a segnare il percorso travagliato di questa band, tra litigi, cambi di line-up e una rottura nel 2006 che sembrava essere definitiva. Ma se il primo album post-rottura suscita sempre grande scalpore, è poi il secondo a innescare maggiori aspettative con cui fare i conti. Questo è Light It Up, il secondo album interamente autoprodotto dalla band (dopo Fuel For the Hate Game), dove lo sguardo al passato si fa vivo più di prima. D’altronde quando si impara, dopo molte vicissitudini, cos’è quello che si sa fare bene, allora vale la pena tornare su quella strada per farlo ancora meglio, senza deviare in percorsi magari più accattivanti ma senza via d’uscita.

E quindi eccoli di nuovo con lo stesso sound compatto e veloce fatto di riff che si rincorrono su tempi cavalcanti di batteria, tra stop-and-go, sing-along, e quel sapore Americano che impregna ogni singola nota, rendendo l’album quasi un inno nazionale al loro genere. E poi, come non citare il timbro rauco più che mai di Chuck Ragan, senza più cedere alle “contaminazioni” degli ultimi anni fatte di smussature e addolcimenti. L’insieme di questi ingredienti, con l’immancabile attenzione al song-writing d’autore, costituisce il marchio d fabbrica della band di Gainesville (in Florida), trascinando le dodici tracce che compongono l’album in un continuum coerente e simile a se stesso.

Già in apertura, il brano “Complicated” ci concede un ottimo avvio alle danze e riscalda bene l’atmosfera, introducendoci al singolo che dà il nome all’album, “Light It Up”, super tirata nel suo minuto e mezzo scarso, senza dubbio una delle tracce più veloci e ritmate dell’intero lavoro in cui risulta chiaro il riferimento al loro passato musicale, ma anche personale. Come lo è anche “Never Going Back” (primo singolo estratto per anticipare l’uscita dell’album), metafora esplicita della loro parabola che da un lato segna un punto di non ritorno ma dall’altro è anche un bisogno di riscoperta di se stessi e della propria natura. La struttura dell’album vede efficacemente posizionata al centro “Sympathizer”, un interludio lento cupo che dannatamente hard, che getta le basi per una seconda metà più ariosa con cori che vanno e vengono continuamente in call and response (“Vultures” e “Bury Your Idols”) e con distensioni vocali che graffiano la pelle (da “High Class Catastrophe” fino ad arrivare alla superba chiusa di “Take You Away”).

Senza che ci fosse mai stato un vero e proprio distacco, questo album segna un totale ritorno alle origini, realizzato con la classe dei veterani. Bello, tosto e moderatamente spregiudicato, come il loro nome (che poi è il titolo di una raccolta di racconti di Bukowski, n.d.r) . Welcome back, again!

 

TRACKLIST:

  1. Complicated
  2. Light It Up
  3. Show Your Face
  4. Never Going Back
  5. Rabbit Key
  6. Sympathizer
  7. Vultures
  8. Bury Your Idols
  9. Overload
  10. High Class Catastrophe
  11. Hold Out
  12. Take You Away

 

A cura di: Francesca Mastracci

7.5

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