Intervista Carnality

Con “Dystopia” i romagnoli Carnality si sono superati, arrivando a un livello semplicemente disumano in fatto di brutal death metal. Abbiamo fatto quattro chiacchere con loro tra passato, presente e futuro di un progetto in continua evoluzione.

Il vostro ritorno coincide con “Dystopia”, un disco che sicuramente ha posto un ulteriore tassello alla vostra fin qui interessante carriera. Quando avete iniziato a  pensarlo e come sono avvenuta la sua lavorazione?

I brani di “Dystopia” hanno iniziato a prendere forma già a fine 2011, periodo in cui usciva il primo omonimo album della band tramite la belga UltimHate Records e nello stesso periodo sono entrato in formazione come nuovo cantante della band, in sostituzione all’uscente Andrea Manenti. Il disco ha avuto un periodo di gestazione di circa un anno e mezzo e siamo entrati in studio per registrarlo tra ottobre e novembre del 2013. La lavorazione, come ogni lavoro dei Carnality avviene in maniera quasi univoca per quanto concerne l’aspetto strumentale: Marco, il nostro chitarrista e master mind, scrive praticamente tutte le parti di chitarra e getta quelle che sono le linee guida di basso e batteria, le quali sono state poi affinate rispettivamente da Shane e Manuel. A livello vocale e lirico è stato un gioco di squadra tra me ed il nostro ex bassista William Leardini (attualmente membro dei Crawling Chaos). William ha provveduto alla stesura del concept e di buona parte delle liriche, mentre io le ho riadattate alle linee vocali che avevo in testa ancora prima di avere i testi sotto mano.

Visto il distacco qualitativo tra esso e il precedente capitolo viene da chiedersi se abbiate in qualche modo cambiato il modo di comporre/lavorare…

Il modo di lavorare, come dicevo, è rimasto tale e quale al passato. Lo stile è chiaramente diverso perché volevamo salire di livello rispetto al precedente lavoro e ci siamo concentrati sulla resa di ogni singolo brano e devo ammettere che in ciò Marco ha centrato in pieno l’obiettivo. I pezzi che contenuti in “Dystopia” sono tutti estremamente tecnici e serrati, ma rimangono comunque molto godibili. Si tratta di un disco brutal che riesce a farsi ascoltare anche da chi normalmente il brutal non lo “mastica”, e questo per noi è un’ottima cosa.

Il fatto di aver composto il disco con una formazione differente rispetto a quella passata ha in qualche modo influito all’evoluzione dei Carnality?

Sì e no. A livello vocale c’è stata una grossa evoluzione dopo il mio arrivo, in fondo io e Andrea, il precedente vocalist, abbiamo stili completamente diversi, quindi in questo caso si, un nuovo membro ha influito sull’evoluzione del nostro sound. D’altra parte tutto ciò che riguarda la scrittura delle parti di chitarra, basso e batteria è avvenuta così come avveniva in passato con Marco che curava il tutto, quindi in questo caso non c’è stata l’influenza di un nuovo membro della band.

In Rete si leggono vari modi di intendere il vostro sound: chi tech-death metal, chi brutal e via dicendo. Il fatto di aver avuto feedback spesso distanti tra loro la prendete come una cosa positiva o potrebbe in qualche modo fuorviare la vostra vera natura?

Spesso è un’arma a doppio taglio. Innanzitutto preciso che nonostante le tantissime recensioni positive davvero in pochi hanno colto il senso di questo disco e la sua natura, vuoi per svogliatezza nell’ascolto, vuoi per necessità di catalogare più facilmente quanto abbiamo messo nel platter di questo lavoro. Personalmente non mi interessano le etichette, non voglio necessariamente essere inserito nel filone tech-death o in un altro. Quando mi si chiede che genere suono rispondo semplicemente “brutal death metal” ma ammetto che il nostro modo di interpretare il brutal non è quello tipico a cui i più sono abituati. Ci sono elementi nel nostro sound, dalla produzione ad alcune soluzioni chitarristiche e batteristiche, da alcuni elementi vocali all’ampio uso della melodia nei solos e dalla forte atmosfericità che possono sfociare in mille interpretazioni diverse (c’è chi ha pure parlato di influenze deathcore), ma la componente brutal è innegabile, quindi non mi sento di dire che tutte queste interpretazioni sul nostro stile possano essere particolarmente fuorvianti.

Il disco vanta una serie innumerevole di riff e soluzioni strumentali degne di nota. Avendo già testato live i nuovi brani, quant’è stato complicato riprodurre la stessa intensità del disco su di un palco?

A dire il vero non è stato difficile. Tutti i membri della band sono ottimi musicisti e non hanno difficoltà a trasmettere dal vivo quanto fatto su disco, siamo una band “pane al pane, vino al vino” e suoniamo in base alle nostre capacità senza strafare con editing selvaggio e cose simili in studio quindi, anche grazie all’ingresso come chitarra turnista di Ludovico Cioffi (voce e chitarra dei miei concittadini Nightland di Pesaro), la resa dal vivo non ha richiesto particolari sforzi, se non quello di spremere al meglio la strumentazione che portiamo on stage per farla rendere al meglio.

I titoli dei brani sono assai evocativi, così come il concept a tema futuristico sul quale avete incentrato il tutto. Quali artisti/scrittori vi hanno influenzato al punto da portarvi in questa direzione?

Purtroppo non posso rispondere a questa domanda, in quanto l’opera di stesura di concept e liriche è stata compiuta da William che non è più un membro della band, ma ha contribuito veramente tanto a rendere grande questo disco.

Come già detto da molti l’artwork ha un suo particolare fascino. In quale modo a vostro avviso esso si lega al concept del disco?

Certamente si lega al concept del disco. Guang Yang, l’artista che ha curato l’artwork, ha svilupatto l’idea dopo aver letto il concept e, sebbene molti pensino che quello raffigurato sia un mostro dalle sembianze per metà umanoidi e per metà di un pesce, con un po’ di attenzione si vede che in realtà è un uomo inginocchiato che sta subendo delle modifiche al proprio corpo, proprio come gli individui condannati di cui si parla nel concept.

Cosa significa nel 2015 essere musicisti? Nel vostro caso specifico quali stimoli vi  portano a continuare a portare avanti questo progetto e a imbracciare ogni qualvolta uno strumento?

In una parola: passione. Facciamo musica per noi stessi in primis, certamente ci interessa  che il nostro prodotto piaccia al pubblico, ma suoniamo quello che vogliamo e come lo vogliamo, seguendo il nostro stile. Amiamo stare su un palco e proporre la nostra musica ed è questo quello che alimenta il fuoco dei Carnality. Cosa significa essere musicisti nel 2015? In una scena come la nostra, quella metal, significa investire energie e denaro in grandi quantità e spesso andarci a rimettere o finire in pari. Qualcuno direbbe “chi ve lo fa fare?” e la risposta sta in quanto detto poco fa: passione.

Siete romagnoli, una sorta di Mecca in fatto di metal band oggi come oggi. Quali nomi ci consigliereste?
Tra le band romagnole vi consiglio sicuramente i Dementia Senex, l’altra band del nostro chitarrista Marco, un progetto experimental-death dalle atmosfere plumbee e dissonanti. Ci sono tante altre valide band in romagna, e non saprei da dove cominciare ad elencare, quindi mi fermo qui.

Il miglior e peggior disco del 2014? Peggiore?

Forse l’ultimo degli Opeth, non mi è piaciuto affatto così come il precedente. Il migliore? Sono rimasto prima spiazzato poi estremamente colpito da “Sun Eater” dei Job for a Cowboy, ma non so scegliere con esattezza quello che è il top album del 2014.

Quello che attendete dal 2015?
Spero vivamente in un nuovo lavoro targato The Dillinger Escape Plan!

Un saluto ai lettori di Ondalternativa?

Ciao a tutti e grazie per aver letto l’intervista. Ed un grande ringraziamento a voi dello staff per lo spazio concessoci.

 

 

Intervista a cura di Golem

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