Intervista Gran Rivera

Ve li abbiamo presentati un paio di anni fa con “Aventador”, disco dalle marcate influenze brit in chiave rock. Oggi ritroviamo i Gran Rivera più in forma che mai e soprattutto sotto nuove vesti, ossia con due EP in madrelingua (“Pensavo meglio” disponibile ora e “Pensavo peggio” disponibile dal 16 dicembre) davvero niente male. Ne abbiamo parlato con Giacomo, il loro chitarrista.

Il vostro percorso artistico vede un album come “Aventador” e ora la prima parte dei due volumi intitolata “Pensavo meglio”. Cosa è successo all’interno delle vostre teste per arrivare a una svolta così netta in chiave artistica, musicale e nel modo di scrivere i vostri testi?

Siamo diventati grandi, definitivamente suppongo. Abbiamo smesso di ascoltare emo americano perché i gruppi emo americani sono finiti, alcuni credo siano proprio morti. E che dire, ci siamo guardati in faccia e ci siamo chiesti perché continuare a suonare, con quali presupposti. È venuto fuori un disco molto onesto. Il prossimo magari lo facciamo in dialetto.

Quanto siete nostalgici?! Me lo sono chiesto spesso ascoltando questi quattro brani, e vi dirò la verità, avendo vissuto gli anni ’80 e ’90 in prima persona un po’ lo sono stato anche io tra un brano e l’altro. Cosa vi manca di quegli anni?

Il passato non si rinnega. Ma se puoi mandarlo affanculo è meglio.

Milan l’è un gran Milan, cosa che mettete bene in evidenza nei titoli e nei testi con vari riferimenti alla vostra città. Cosa vi porta ad amarla così tanto?! Fareste mai cambio con una Londra, una Roma ad esempio?!

Come dice Arbasino: “Un uomo deve vivere nella capitale del suo paese, quindi vivo a Milano”.

Come dicevamo prima, arrivate anche voi dal filone musicale ‘80/’90, ossia quello dove in Italia c’erano band con le palle in ogni singola scena, dai Fine Before You Came ai La Crisi per stare in territori alternative. Senza poi contare i molti ritrovi in quel di Milano, da Zabrinskie Point al Rainbow Club e via dicendo. Che c’è di quella scena nella Milano odierna?

Oggi suonare musica chitarra basso e batteria è una cosa vintage. Quando avevamo 15 anni era imprescindibile suonare, era come avere il motorino, dovevi farlo. Nel 2016 credo sinceramente non freghi un cazzo a nessuno. Ci si compra un baracco dell’AKAI e tanti saluti. Del secolo breve restano i vecchi: il geronto Kappa, Olly degli Shandon, Eva dei Prozac, i Minnie’s, e alcuni gruppi nuovi che in realtà rimescolano vecchie guardie, come i Gionson, i DAGS!, i Labradors. Trovo fisiologico che la scena cambi pelle. Io a 20 anni detestavo quelli di 35 che suonavano ancora, facevano merdate tipo glam rock o comunque ignoravano hard core e emo. Per uno nato nel 1999, oggi è la stessa cosa.Ascolta i Cani e non conosce Dalla, poi tra un po’ lo scoprirà e si sentirà un pirla, è accaduto anche a me quando ho trovato “Led Zeppelin I” nella libreria di mio padre.

Torniamo a “Pensavo meglio”: Il titolo deriva dal vostro pensiero una volta sentito il prodotto finito o da che altro?

È il nostro bilancio superata la trentina. A 20 anni il futuro pare spalancato, tutto possibile, sogni di ogni tipo che affollano la testa. E invece mi dispiace rompere le uova ai millenials ma non è che poi sia tutto sto Carnevale di Rio. Come dice Pasolini bisogna educare le nuove generazioni alla sconfitta.

In tempi così apparentemente drammatici per la discografia, come diavolo vi è venuto in mente di pubblicare due singoli EP e soprattutto in digitale?

Beh, calcolando che non abbiamo esattamente il pubblico di Sting, e che ci mettiamo una vita a scrivere delle canzoni, abbiamo progettato di spalmare il pappone su più mesi, per tenere accesa l’attenzione. Mica male, eh?

Guardando i vostri video, ma anche semplicemente ascoltandovi oggi, noto un maggior divertimento da parte vostra nel proporre questi brani, maggiore intensità, del “preso benismo” detto alla milanese insomma. Siete d’accordo? Forse avete imboccato la strada che stavate cercando da tempo o cos’altro?

Chi continua a suonare dopo i 30 anni, o è Biagio Antonacci che ha fatto il grano e piace alle cougar, o è qualcuno che si diverte. Altrimenti non avrebbe senso. C’è quel momento in cui, il venerdì sera, entriamo in saletta, accendiamo gli amplificatori a un volume osceno e cominciamo a muovere la testa come i Metallica. Meglio del sesso, davvero.

Se “Pensavo meglio” è una bella bomba, cosa dobbiamo aspettarci da “Pensavo peggio”? Qualcosa di migliore se questo primo capitolo ha un titolo di per sé già abbastanza deluso?

È lo stesso disco. È un buon disco. Se hai voglia di ascoltarlo ti ci troverai bene, non ti tradirà.

A voi la chiusura, ma prima una curiosità: vi è mai capitato di farvi lasciare al supermercato o in qualche situazione tutt’altro che adatta a una simile (apparente) tragedia?

Ho sempre pensato che sia molto più semplice farsi lasciare che lasciare direttamente. I luoghi del dramma, nei mesi seguenti la perdita, prendono vita e animano i rimpianti. Anche i non luoghi come centri commerciali e supermercati. Quando ci venivi con lei ti facevano cagare e d’un tratto diventano il teatro degli affetti scomparsi. Un film dell’orrore, sul serio. e poi forse, per dirla più semplicemente, non si canta l’amore felice. È lo stesso anche per Sergio Endrigo.

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