Intervista Stereo Age

Ondalternativa incontra Daniele e Lorenzo degli Stereo Age, formazione pop-punk che nel corso degli anni ha modificato non poco proposta artistica e line-up arrivando oggi a essere un’ottima realtà alternative.

Questa credo sarà una delle domande più gettonate nel vostro caso: dopo la pubblicazione dell’EP d’esordio un fin qui lungo silenzio. Che è successo da quel momento a oggi?

Sono cambiate molte cose. In primis la formazione della band, con l’ingresso di Alessandro alla chitarra e Lorenzo al basso. Come spesso accade, i cambiamenti portano nuova linfa e voglia di fare e nel nostro caso penso proprio che sia così. Le loro influenze nei nuovi brani si sentono molto e personalmente sono contento, ci voleva qualcuno che aiutasse a dare una spinta maggiore al progetto, in tutti i suoi aspetti.

Ciò che sta di fatto è che con il nuovo lavoro “Half of us” siete tornati più in forma che mai, decisamente più ispirati e rinnovati nello stile a mio avviso. Siete d’accordo? Dove avete trovato la linfa necessaria ad alimentare questa sorta di “seconda vita”?

Come dicevo prima, gran parte del merito è sicuramente dei cambi di formazione avvenuti negli ultimi 2 anni. Dopo “Strong Enough” ci eravamo ripromessi di svoltare su qualcosa di più personale, un sound meno scopiazzato e che attingesse da tutti i nostri ascolti, non solo dalle band pop punk che guidano la scena. Non so se ci siamo riusciti in pieno, ma penso che qualche passo avanti importante in questo senso sia stato fatto.

In molti avevano giudicato in maniera negativa il vostro debutto. Col senno di poi pensate che quelle critiche potevano avere un senso?

Beh le critiche vanno sempre accettate, però secondo me “Strong Enough” era un lavoro piacevole tutto sommato, anche se non spiccava per originalità, su quello siamo tutti d’accordo. In ogni caso la bocciatura in toto ricevuta ci è servita da lezione, perché è stato proprio il punto di partenza per gettare le basi di quello che siamo ora.

“Half of us” è un lavoro che si pone direttamente nel pop-punk di ultima generazione, ossia quello che gente come Knuckle Puck e The Story So Far stanno portando in auge. Vi ritrovate in questa scena? Cosa hanno dato di nuovo a vostro avviso questi nomi nuovi al genere?

Sicuramente abbiamo preso tantissimo spunto da queste nuove band, le abbiamo avute in cuffia quasi ininterrottamente negli ultimi 2 anni, era piuttosto inevitabile. Quello che hanno portato, a mio avviso, è uno svecchiamento radicale del genere, che era abbastanza fermo agli anni in cui Blink, Ataris e New Found Glory regnavano sovrani. Mi piace molto come ora le chitarre abbiano tendenzialmente sonorità più crunch, con riff meno scontati e più “rock” e come si sia tornati a ricercare anche una maggiore grinta nel cantato, che spesso in passato aveva svoltato troppo su produzione in stile pop, perdendo un po’ di fatto la componente punk.

Il vostro è un lavoro assai curato: dalla produzione al songwriting tutto è stato svolto in maniera assai professionale. Quanto tempo e sacrifici sono costati a ognuno di voi? Parecchi, decisamente. Diciamo che questo EP è stato scritto in 6 mesi, anche se gli ultimi 2 prima di entrare in studio sono stati frenetici. Ci trovavamo almeno un paio di sere a settimana per rivedere le bozze dei pezzi, migliorare gli arrangiamenti, registrare delle pre-produzioni e quant’altro. In termini di tempo non si contano le ore spese per questo disco, sia prima che durante le registrazioni, durate un mese. Sacrifici quindi molti, anche economici: l’investimento fatto su “Half of Us” è stato notevole, ma siamo contenti di averlo fatto perché altrimenti non si può dire di provarci veramente. Fortunati inoltre a potercelo permettere.

Lorenzo: Sicuramente molti caffè! Come raccontava Daniele la scrittura di “Half of Us” ha richiesto molte ore e altrettanti sacrifici. Ci eravamo promessi di non lasciare nulla al caso, a partire dalla varietà dei pezzi. Volevamo un EP che non stufasse dopo la terza traccia, e che offrisse pezzi che non si ricordassero a vicenda, pur mantenendo una cifra stilistica il più omogenea e personale possibile. Stesso discorso per la scrittura dei testi, sui quali ci siamo impegnati molto. Stufi delle solite tematiche imperanti nel pop-punk (sole, cuore, birra) abbiamo provato ad arricchire la musica con parole più vicine a quello che oggi ci circonda e alla nostra età. In “Round 12”, ad esempio, proviamo a raccontare i complessi stati d’animo di chi si trova costretto a lasciare l’Italia per trovare lavoro. Anche il testo di un pezzo breve come “Memorandum” ha richiesto un’intera giornata di lavoro (ascoltate con attenzione e capirete!). Spero che anche solo una minima parte di tutto questo lavoro possa arrivare a chi ci ascolta, vorrebbe dire che i caffè non sono stati bevuti invano!

Questi sono gli Stereo Age che avete sempre voluto essere?

Se rispondessi di sì, vorrebbe dire che sarei talmente appagato dal risultato ottenuto dalla band che non troverei più stimoli per migliorare in futuro. Siamo molto contenti di “Half of Us” e siamo soddisfatti del percorso di crescita, molto faticoso, che abbiamo intrapreso dopo l’EP precedente. Al tempo stesso, però, siamo consci dei nostri limiti e del fatto che ci sia ancora tanta strada da percorrere per migliorare, sotto tanti punti di vista.

La scena pop-punk tricolore è da sempre tra le più attive e interessanti sul fronte europeo. Quali nomi oltre al vostro citereste ai nostri lettori?

Sì, ultimamente c‘è davvero tantissimo fermento. Non saprei consigliare una band piuttosto che un’altra, ce ne sono molte. Però se qualcuno volesse avere un bel prospetto di cosa ci sia in giro ultimamente in Italia parlando di pop punk può ascoltare su Spotify la compilation “Listen To .IT”, una raccolta recentissima di 19 pezzi di altrettante band nostrane del genere. Tra l’altro siamo presenti anche noi con “Thanks For The Truth”, estratta proprio da “Half of Us”.

Parliamo di influenze: quali band e dischi a vostro avviso hanno segnato il percorso di “Half of us”?

Negli ultimi anni siamo stati molto attenti alle nuove uscite del genere. Se dovessi fare qualche nome di dischi o band che hanno influenzato la fase compositiva di “Half of Us” direi sicuramente “Under Soil and Dirt” dei The Story So Far e i Real Friends.

Lorenzo: Penso che oltre alle band new-school in “Half of Us” si nascondano anche molti dei gruppi che hanno segnato le nostre adolescenze musicali. Scontato farei i soliti nomi della scena punk-rock anni 90 (a cui tutti i gruppi di oggi sono – chi più chi meno – debitori), ma senza di loro e senza band attuali più distanti dal genere, come Jimmy Eat World, Gaslight Anthem e Weezer, l’EP avrebbe suoni e parole diverse. Sono loro a costituire l’anima rock del disco.

Tornare sulle scene dopo un periodo di silenzio non è mai semplice: cosa vi ha dato la spinta necessaria a farlo?

A dire il vero quasi tutti si stanno dimenticando che a fine 2013 avevamo pubblicato un singolo, “The Red Carpet”, con tanto di video ufficiale. All’epoca non avevamo ancora abbastanza materiale per un EP ma avevamo comunque voluto far sapere a tutti che eravamo vivi e stavamo lavorando su pezzi nuovi, quindi in pratica non siamo mai stati fermi del tutto. La spinta ce la da ogni giorno la passione per la musica, senza la quale non saremmo ancora qui dopo tanti anni.

In Italia c’è ancora un seguito dietro al genere da voi proposto? Quanto è complesso oggi come oggi trovare spazi dove esibirsi e avere un seguito?

Sicuramente rispetto anche solo a 5 o 6 anni fa la situazione live si è molto complicata. Trovare il locale che ti lasci la data e che ti dia un minimo rimborso spese è sempre più difficile e questo influisce senz’altro sul seguito che ogni band può avere. Non potendo girare un po’ diventa tutto più limitato. Nell’ultimo periodo, però, personalmente ho notato una lieve controtendenza, soprattutto perché il pop-punk è tornato abbastanza in auge tra i giovanissimi. C’è di nuovo voglia di fare, voglia di suonare e di portare in giro la propria musica e tutto questo non può che far bene alla scena musicale.

Lorenzo: Purtroppo gli spazi per suonare non hanno mai abbondato in Italia, dove manca una diffusa cultura della musica live, soprattutto se suoni certi generi e fai pezzi originali. Ma questa è un’altra storia (ben conosciuta). Sul pop-punk sono d’accordo con Daniele, sembra che la scena abbia ritrovato un nuovo entusiasmo, anche se nel nostro paese il genere continuare a pagare l’etichetta troppo spesso affibbiatagli di “musica per soli ragazzini”. Che il genere piace soprattutto a più giovani è vero, ma sono certo che molte band potrebbero avere un seguito più ampio se avessero maggiori possibilità e visibilità (vedi i Vanilla Sky in Russia).

Che rapporto avete coi social network? Quanto influiscono a vostro avviso nella crescita di visibilità di una band?

Siamo nel 2015, ormai se non si è attivi sui social network e non ci si sa muovere bene si è praticamente tagliati fuori. La visibilità che ti possono dare è infinita e senza dubbio sono un mezzo molto potente per dare una mano a band emergenti come noi a raggiungere un pubblico sempre più ampio, grazie soprattutto al passaparola che, tradotto nel linguaggio social, significa condivisioni.

Cosa dobbiamo aspettarci dal 2015 targato Stereo Age?

Penso che sarà un anno dove suoneremo tanto dal vivo. Nel 2014 siamo stati più concentrati sulla scrittura del disco e abbiamo tralasciato quello che invece dovrebbe essere il cuore pulsante di una band rock, cioè i live. Abbiamo già una decina di date fissate da qui all’estate per portare “Half of us” un po’ in giro per l’Italia e farci conoscere il più possibile.

Lorenzo: Più riff per tutti!

Intervista a cura di Golem

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