Live Report Avantasia

Live Report Avantasia
Alcatraz,
Milano 16 aprile 2013

Dopo un’assenza di ben 5 anni ritorna in Italia l’opera metal che ha in Tobias Sammet, leader degli Edguy, il suo padre/creatore.
Gli Avantasia mancavano dal 2008 qui in Italia, dall’edizione del fu “Rock In Field” ma nel frattempo il progetto ha sfornato un doppio album nel 2010 e giusto un mese fa il nuovo lavoro The Great Mistery.
Le premesse per questa tappa indoor erano altissime: 3 ore di show per una scaletta dunque ricchissima di pezzi nuovi e vecchi. Infatti arrivati all’entrata alle 6 circa notiamo già una lunghissima coda che preannuncia un sold-out quasi certo. C’è l’aria del grande evento quando si sta per entrare nel locale.

Ci piazziamo sul lato destro del palco e, dopo una veloce sigaretta nella saletta dietro i banconi, alle 8 e mezza circa parte la musica di apertura, “Also Sprach Zarathustra” celebre per essere presente nel film 2001: Odissea nello spazio. Infatti sta per iniziare un concerto che definire spaziale è poco.
Sammet e la sua band iniziano con un terzetto di canzoni dal nuovo album, l’introduttiva “Spectres”, la potente “Invoke The Machine” nella quale appare il primo ospite, ovvero Ronnie Atkins, singer dei Pretty Maids. Atkins entra in scena molto carico e si dimostra all’altezza, almeno come presenza scenica, dell’altro animale da palco qual è Tobias Sammet. Il duo rimane sul palco per interpretare “Black Orchid”, brano molto Nightwish che rende moltissimo anche dal vivo. Atkins torna dietro le quinte e le luci si abbassano, e ci si prepara per il primo vero scossone alle mura dell’Alcatraz. E’ tempo per “Reach out for the lights”, è tempo per l’entrata in scena di Michael Kiske. L’ex cantante degli Helloween si presenta subito con alcuni acuti e una prestazione tecnicamente eccellente che ripete anche nell’altro classico da “Metal Opera Part I” “Breaking Away”. Il pubblico lo aspettava e lui non lo delude affatto.
Kiske
esce ma lo show continua con l’entrata in scena di un altro big atteso, forse ancora un po’ sconosciuto sentendo le domande di alcuni che mi si avvicinano e mi chiedono “Ma chi è il vecchietto?”; sto parlando di Bob Catley, cantante dei Magnum, che interpreta con Sammet la bellissima “The Story Ain’t Over”.
L’Alcatraz canta a squarciagola e la band sul palco suona egregiamente, in uno dei momenti migliori grazie alla voce sempre emozionante di Catley.
Dopo la prima suite della serata “The Great Mystery” , dal fondo del palco avanza uno dei due coristi della serata, Thomas Rettke, il quale si prende sulle spalle uno dei pezzi più insidiosi della setlist da cantare. “Scales of Justice” che in studio fu cantata da Tim Ripper Owens. Forse l’unico dei presenti a poter rendere bene la canzone trova comunque consensi tra il pubblico anche se personalmente non mi ha convinto o semplicemente è uno di quei cantanti che per gusto non amerò mai.
L’atmosfera ritorna buia e delle note di pianoforte introducono l’ospite da me più atteso della serata, il cantante dei Mr.Big Eric Martin. Anche in questo caso come per Catley sento chiedere tra le persone di fianco chi sia, ma subito vengono rapiti dal timbro inconfondibile e adattissimo per power ballad come “What’s Left To Me”.
Martin resta in stage anche per la successiva canzone; dopo aver interagito con la folla canticchiando “Nel Blu Dipinto Di Blu” di Modugno introduce lui stesso in italiano la Terra Promessa( io e la mia amica abbiamo temuto si mettesse a cantare Ramazzotti), “Promise Land” ed anche in questo caso a mio parere risulta impeccabile la sua prestazione.

Si arriva così alla metà della setlist con il singolo del nuovo album ovvero la ballad “Sleepwalkin”. Sul disco c’era il duetto Sammet-Cloudy Yang ed era uscita una canzone molto pop ma carica di pathos. Dal vivo ovviamente la parte femminile è interpretata da Amanda Sommerville e la biondissima corista riesce comunque a strappare molti applausi nonostante mi è parso che la canzone in generale perda un po’ rispetto alla versione in studio.
Un classico intro di tastiera introduce l’amatissima “The Scarecrow” dove riappare Atkins che ancora una volta riesce in parte a ricoprire il ruolo che fu di Jorn Lande (grande assenza della serata). Per il resto questo è uno degli highlights della serata, un pubblico caldissimo e una band perfetta.
Kiske
ritorna in scena ed è il tempo per la bomba “Stargazers” nella quale ad aiutare i cantanti presenti c’è anche il chitarrista Oliver Hartmann, veramente all’altezza degli altri singers. Il concerto è ormai entrato nelle due ore ed è tempo ancora per la Sommerville di prendersi la scena con la stupenda “Farewell” e le emozioni toccano ancora livelli altissimi.
In uno show normale saremmo già soddisfatti e verso la fine ma i brividi e la pelle d’oca ritornano con Bob Catley che riappare seduto sui blocchi in parte alla batteria. E’ lui che prende il microfono per cantare “In Quest For” in un altro duetto di altissima fattura con Sammet e per l’ennesima volta in questa serata il pubblico rimane estasiato e può concedersi un attimo di respiro.
Il locale ritorna ad esplodere non appena si sentono le note iniziale di “Lost In Space” altro cavallo di battaglia immancabile.
Qualcuno nel frattempo indietreggia, o si concede un attimo di pausa perchè la fatica in molti si fa sentire e guardando l’orologio si sa che manca ancora quasi un’oretta circa.
Si susseguono la bellissima e inedita “Savior In The Clockwork”, “Twisted Mind” e un altro singolone di successo ovvero “Dying For An Angel”. In quest’ultima al posto della parte vocale che fu sul disco di un certo Klaus Meine si inserisce Eric Martin che non sfigura affatto e si prende l’ultimo convinto applauso generale. Si arriva così al rettilineo finale di questa maratona musicale e il cuore ribatte di nuovo forte quando si sentono i cori introduttivi all’epica “The Seven Angels”, riproposta in tutti i suoi 15 minuti. Forse è il climax del’intera serata e probabilmente il pubblico spende le ultime energie per cantare e accompagnare adeguatamente questo classico.
Le ultime due canzoni sono altri classici come “Avantasia” nella quale Kiske chiude una prestazione globale che ha soddisfatto pienamente i tanti suoi ammiratori presenti questa sera. Chiude la bellissima”Sign Of The Cross” nella quale tutti gli ospiti si ritrovano sula palco per un saluto a questo pubblico meraviglioso con cui hanno interagito ininterrottamente.

Dopo 3 ore di questa portata si legge sui volti di tutti solo tanta soddisfazione e un po’ di stanchezza; c’è la sensazione di aver appena assistito ad un concerto memorabile per cui si potrà dire con orgoglio “Io c’ero”.
Un cast che poteva presentare dei punti deboli si è dimostrato assolutamente all’altezza, una band ormai rodata con Sascha Paeth e Oliver Hartmann sicurezze assolute ed una prova stupefacente di Russell Gilbrook dietro le pelli. Una menzione particolare la voglio spendere ancora per il pubblico, per noi rockers o metallers italiani; questo era un evento clamoroso, lo si sapeva già in partenza e per una volta abbiamo risposto alla grande. Oltre al pienone dentro il locale una volta fuori il camion con tutto il merchandising della band è stato esaurito in pochissimo tempo.
Indubbiamente abbiamo riscattato con il nostro calore e passione il flop di pubblico del 2008 all’Idroscalo. Una serata da 10 e lode. Forse per rendere ancora più incredibile uno show del genere il prossimo passo potrebbe essere quello di fare uno concerto simile in un teatro idoneo ad ospitare questo popolo metal. Gli Avantasia spingono a pensare a questa ipotesi.
Un grazie agli Avantasia e alla musica, la buona Musica con la M maiuscola.

A cura di Lorandi David

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