Live Report One OK rock

Milano, 19/12/2015

Sono le 18:30 del 19 dicembre quando arrivo all’Alcatraz di Milano per “assistere” al concerto di una delle rock band più famose del Giappone: gli ONE OK ROCK (non li sto elogiando, ma il nome è veramente scritto tutto in maiuscolo). Iniziamo con una breve parentesi di presentazione di questa band, magari a molti sconosciuta.
Il loro nome, che un “gaijin” in inglese pronuncerebbe One Ok Rock, viene invece translitterato dai nipponici in “One O’Krock”, strano vero? Ma è solo l’inizio…
Attivi dal 2005, con 6 album alle spalle e 2 EP (e una svalangata di singoli che non vi sto ad elencare) Taka (vocals), Toru (guitar), Ryota (bass) e Tomoya (drums) sfornano il settimo successo intitolato 35XXXV (firmato Warner Bross Records ed inciso negli States interamente in inglese) per poi partire alla volta di una lunga tournee in giro per il mondo.
Approdati per la prima volta in Italia nel dicembre del 2014 con un debutto ai Magazzini Generali, ci riprovano anche all’Alcatraz a distanza di solo un anno, ma addentriamoci nel vivo della serata.
Entrando prima del pubblico, riesco a trovarmi un ottimo spot sul mezzanino proprio di fronte al palco B, ottima visuale per scatenarmi con la Reflex. L’area adibita per il concerto, in meno di un’ora, si riempie di ragazzine schiamazzanti, bambini con genitori al seguito, giovani vestiti in abiti casual e qua’ e là, qualche rockettaro (e la cosa già si fa sospetta, dato che credo di essere stata l’unica persona all’interno della venue a non conoscere la band, ma tralasciamo questo insulso particolare – profonda vergogna).

Ore 20:00
La band di apertura è già in ritardo sulla tabella di marcia ed ho la brillante idea di chiedere a una tranquilla fanciulla accanto a me (credetemi, alle altre 1000 che avevo dietro, che mi stavano pressando come la Manzotin contro la ringhiera, ho detto altro) chi fosse la band di apertura.
Risposta: band metal americana sotto il nome di We Came As Romans.
Il mio cuore di riempie di gioia solo alla parola “Metal”, ma un dubbio atroce mi assale come un lampo: come può esserci una band metal di apertura ad un gruppo indie rock? Ansia.
Ed ecco che finalmente il primo gruppo sale sul palco e introduce subito il primo pezzo della loro scaletta. Sulle note di un rock di stampo USA, la mia testa lentamente si gira verso la povera e indifesa creatura che credo di metal non sapesse proprio nulla (curiosando su Google in effetti la band viene etichettata come metalcore, ma di metalcore forse avranno 2 pezzi su 100 in tasca; per il live ne hanno pescati qualcuno tra i 98 rimanenti. A buon intenditor poche parole).
Passano tre quarti d’ora, dove tra una canzone e l’altra inizio a scaldare la macchina e faccio un paio di scatti di prova, e finalmente arrivano le 21:00 e gli OOR fanno la loro comparsa sul palco. Tra urla, grida di gioia, gente in lacrime, teenagers che si strappavano i capelli e ragazzine super iper eccitate, la prima impressione che ho avuto è stata quella di essere tornata agli anni 90, quando gruppi come i Take That riempivano interi stadi (profonda disperazione nell’essere circondata da ragazzine che echeggiavano cori per il vocalist dove la parola “ti amo” era la protagonista).
Parte la intro di 35XXXV e non sto a descrivervi cosa è successo in sala, ma gli schiamazzi assordanti (tanto da coprire la musica) fomentano una bella emicrania.
Sulle note poppeggianti di “Take Me To The Top”, i quattro pischelli nipponici iniziano la loro performance fatta di salti, ammiccanti occhiate alla folla e sorrisini. Direi che, come pezzo di apertura non male, se solo si fossero trovati in un festival per liceali amanti del pop alla Backstreet Boys. Dite che la scena del lancio della bandiera italiana sul palco (da parte di qualcuno del fanclub locale) con relativo “Ti Amo” in risposta da parte di Taka, possa essere una scena da descrivere? Passiamo oltre.
Un altro brano in stile pop/rock mantiene calda l’atmosfera all’Alcatraz e tutti cantano e ballano, sulle note di “Memories”. Le canzoni, devo ammetterlo, sono orecchiabili nel loro essere molto commerciali e credo di aver capito perché questa band ha milioni di fan in tutto il mondo, forse anche perché richiama alla gloria le band che una volta hanno fatto la storia per i bei visini, le voci da angeli e l’aria da bravi ragazzi.
“Deeper Deeper” con il suo inizio molto rock, mi ricarica un po’ il morale, ma sapevo che non sarebbe durato a lungo e, dando una veloce occhiata al pubblico sottostante, posso affermare che l’unico ad accennare un po’ di headbang è stato proprio Taka sul palco (anche perché’ penso che la gente pressata nelle prime file abbia avuto solo lo spazio vitale per respirare, direttamente proporzionale alla capienza della propria cassa toracica).
Si passa a “Stuck in The Middle” con un ritmo decisamente molto più rock, ma sempre con il solito ritornello che rimane Stuck nella mente anche senza volerlo, per non parlare delle super acrobazie del bassista.
Dopo tutte le energie bruciate a saltare da una parte all’altra del palco, Taka riprende fiato con la prima ballad “Clock Strikes” e qui tutti cantano insieme a lui, in un pezzo anlo-giappo smielato che fa cadere le prime lacrime alla fanciulle isteriche, a me fa cadere qualcos’altro, ma tralasciamo.
Un’altra ballad “Last Dance”, un altro coro delle fan più accanite, altre lacrime di fanciulle con QI della Barbie e la mia sete di birra aumenta, ma tengo duro e continuo a fare qualche scatto qui’ e lì, ma la serata diventa sempre più dura (tra il caldo insopportabile e la melodia rilassante devo dire che ad un certo punto ho avuto dei seri problemi a restare sveglia e attiva).
Si passa a “Cry Out” un po’ più movimentata, ma sempre con quel timbro pop-rock che non mi convince tanto, ma fermi tutti, era un accenno di growl quello che ho sentito? Mah… forse un abbaglio? Molto probabilmente era solo un’allucinazione dato che la canzone che segue, intitolata “Heartache” (e già dal nome dice tutto) mi porta letteralmente a lasciare il mio “bel” posticino tra centinaia di pazze scatenate in lacrime e a dirigermi al banco del bar dove finalmente riesco a fare due risate col barman e bermi una birra. La scena che mi si para davanti è da Titanic: tutti che si abbracciano e si baciano, coppiette che si tengono per mano e si coccolano piangendo. Ok, speriamo che l’alcol mi dia un po’ di vita, ma… Taka ha la bella idea di dire un altro “TI AMO” alla folla al termine della bucolica canzone scatenando uno “Spartano” delirio e causando urla da milioni di decibel che mi schiaffeggiano il cervello.
“Decision”, terza ballad che non sto a descrivere perché, dopo l’effetto soporifero che ha avuto dal vivo, vorrei evitare di crollare davanti al PC. A seguire “Suddenly” con un paio di accordi rock che inesorabilmente poi scivolano lentamente in un ennesimo sdolcinato brano da braccia in aria e accendino alla mano. E’ la volta di “The Beginning”, brano più vivace rispetto ai precedenti, ma la voce di Taka ancora una volta viene quasi annullata e coperta dai cori delle teenagers che cantano e si disperano.
“Be the Light” e “Mighty Long Fall” vanno a chiudere la perfomance di questa rock band nipponica che a quanto pare è destinata a diventare molto famosa anche dalle nostre parti. Per quanto mi riguarda, viaggiando spesso nel paese del Sol Levante e vedendo decine di bands ogni volta (e se ne vede di tutti i colori) nel complesso non sono così male, ma sono proprio curiosa di vedere che evoluzione avranno nei prossimi anni nel nostro paese. In bocca al lupo ragazzi!

Setilist:
Take Me to the Top
Memories
Deeper Deeper
Stuck in the Middle
Clock Strikes
Last Dance
Cry Out
Heartache
Decision
Suddenly
The Beginning
Be the Light
Mighty Long Fall

Encore:
Drum Solo by Tomoya
The Way Back
No Scared

 

A cura di Tatiana Granata

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