Mogwai – Every Country’s Sun

Se ai Mogwai fosse stato chiesto di scrivere la colonna sonora della loro storia probabilmente il risultato sarebbe stato poco dissimile da questo ultimo lavoro. Every Country’s Sun arriva proprio a coronamento dei venti anni di carriera della band post-rock di Glasgow fautrice di un ripensamento netto, e anche un po’ spregiudicato, che ha ridefinito irrimediabilmente i canoni del genere a livello internazionale. L’album, il nono registrato in studio, arriva a sedici anni di distanza da Rock Action, per molti considerato ancora come il loro capolavoro indiscusso, o certamente come uno di quei dischi che segnano la storia e di cui, volenti o nolenti, una band non può non utilizzare come propria personale cartina tornasole. Molte cose sono cambiate da allora, dal momento che i Mogwai non sono mai stati inclini a lasciarsi ingabbiare in schemi prestabiliti, ma anzi hanno da sempre aperto le porte a nuove sperimentazioni, facendo incursioni ambient, dark-wave, shogaze, pop e hardcore. Sempre diversi eppure sempre simili a se stessi. Sì, perché se anche nel corso degli anni ci hanno mostrato sfaccettature diverse, dal punto di vista della coerenza artistica e dello stile compositivo sono rimasti sempre fedeli a quella linea di eleganza e malinconia che contraddistingue il loro suono compatto e rarefatto insieme, sognante e terrestre, fluttuante e avvolgente.

L’album è stato presentato live in anteprima nella sua interezza durante la scorsa edizione del Primavera Sound di Barcellona a giugno, ma ci è voluto settembre prima che non vedesse la sua luce discografica. Every Country’s Sun arriva dunque a tre anni dal loro ultimo Rave Tapes, in parte raccogliendone l’eredità e in parte varcando soglie di nuove sperimentazioni, facendosi carico di un approccio cinematografico che è anche il risultato dei lavori eseguiti per le registrazioni delle colonne sonore di due film-documentari, Atomic e Before the Flood (entrambi usciti nel 2016). Ma non sono solo queste le novità con cui la band ha fatto i conti negli ultimi anni. Se da un lato l’abbandono John Cummings (chitarrista storico e uno dei fondatori della band agli albori) aveva destato iniziale scompiglio dopo l’uscita di Rave Tapes, è vero anche che la band si è avvalsa di una collaborazione di eccezione per tornare alla ribalta. Si tratta di Dave Fridmann, lo stesso che li aveva accompagnati al mixer ai tempi di Rock Action, come per suggellare un ritorno alle origini che però si avvale di tutte le contaminazioni con cui la band si è arricchita nel corso degli anni.

E in effetti l’album è questo: passato e futuro che si tengono per mano percorrendo strade sterrate di cui non si conoscono le destinazioni finali. È tutto in divenire, ed è anche bello che sia così, in un’epoca in cui le costruzioni mainstream tendono a fagocitare troppo velocemente i piccoli dettagli che rendono un edificio sempre diverso e cangiante.

L’album si apre proprio con un pezzo che è una progressione costante in dirittura d’arrivo. “Coolverine”, primo brano estratto per anticipare il disco, sospeso tra malinconia e rarefazione con synth, chitarre distorte e percussioni sempre presenti a scandire il ritmo, costante di tutto l’album è infatti la magistrale capacità di Barry Burnsalla batteria a tirare le fila e costituire un suono compatto, anche nei momenti di maggiore fluidità sonora. Più poppeggiante il pezzo successivo “Party in the Drk”, che costituisce uno dei due casi in tutto l’album in cui compare il cantato sintetizzato, insieme a “100 Foot Face”, questa invece estremamente sognante e sospesa, con linee di basso leggermente accennate e cori. Cetro dell’album è rappresentato da “Crossing the Road Material”, citazione esplicitamente tratta dai Nau! che traduce con il suo atteggiamento groove le atmosfere sintetizzate e più melodicamente distese della prima parte del disco alle sferzate più cupe della seconda, in cui ogni traccia intavola tappeti sonori che esplodono tutte in risoluzioni impreviste nei finali. A partire dall’ambient spaziale di “Aka 47”, passando per il noise alcalinico di “20 Size”, per il sound granitico ed elettrizzante di “Battered At A Sramble” e il math (a tratti metal) di “Old Poisons”. Fino a raggiungere in chiusura al brano che dà il nome al disco, “Every Country’s Sun”, degno epilogo in pieno stile post-rock, con accenni shoegaze lievemente abbozzati e una cura per le sfumature che da sempre li contraddistingue.

Infine, un album denso, pieno di carica e malinconia, pathos ed energia, sospensione e vortiginose estasi. L’album dei loro venti anni. L’album che li riconferma ancora una volta protagonisti indiscussi del loro genere. L’album che è la loro colonna sonora.

 

TRACKLIST:

  1. Coolverine
  2. Party in the Dark
  3. Brain Sweeties
  4. Crossing the Road Material
  5. aka 47
  6. 20 Size
  7. 1000 Foot Face
  8. Don’t Believe the Fife
  9. Battered At a Scramble
  10. Old Poisons
  11. Every Country’s Sun

 

A cura di: Francesca Mastracci

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