Nuju – Pirati e pagliacci

Quando un artista sceglie di farsi Nessuno, implicitamente abbraccia la possibilità di diventare tutti i destini che passano in rassegna nella propria opera. Così è anche nel caso dei Nuju, gruppo di origini calabresi, il cui nome nel dialetto della propria terra significa proprio ‘nessuno’. Omaggiando Ulisse, il viaggiatore che lascia la propria dimora per “seguir virtute e canoscenza”, i Nuju sin dai primi esordi hanno solcato profondi mari con le storie che cantano nei loro dischi, ognuna delle quali espressione di un capitolo a sé stante all’interno del lungo romanzo che nel corso dei sette anni di carriera hanno tracciato attraverso i quattro album registrati.

Per questo, il 2016 hanno voluto concluderlo con un album che racchiude, oltre a qualche inedito (tra cui il brano che apre la tracklist, “Menestrello”), alcuni tra i pezzi più rappresentativi della loro carriera. Una sfilata di personaggi che si susseguono uno dopo l’altro per narrare la loro storia a metà strada tra il serio e il faceto, con la spregiudicatezza e l’irrisorietà dei Pirati e Pagliacci che vengono citati nel titolo di questo loro ultimo lavoro e che risulta, per questa ragione, particolarmente calzante in quanto li definisce in tutta la loro natura di cantastorie un po’ banditi. Così sono i Nuju, liberi nello spirito, senza leggi e senza bandiere, ma mai comunque indifferenti ai problemi sociali che stringono in una morsa la realtà civica del Paese e restano sempre la cornice generale in cui si inseriscono le 18 storie che compongono l’album. La molteplicità presente nei nuclei compositivi di questa loro personale antologia trova amalgama nei suoni gitani del genere patchanka, in cui si incontrano le contaminazioni variegate del folk proveniente dalle tradizioni popolari di vari Paesi con incursioni di reggae e del combat folk di ascendenza nostrana. Con la grazia e la leggerezza mai scontata degli artisti di strada, i Nuju intrecciano le loro storie in un unicum sonoro che li accompagna lungo tutto il tragitto. Quella che può risultare come piattezza espressiva (e che è il rischio maggiore in cui ci si può imbattere quando si sceglie di suonare questo tipo di musica), semplicemente ne denota il proprio marchio di fabbrica, uno stile compositivo non districabile dal genere musicale. La band riesce bene, però, ad ovviare il problema di una facile uniformità con modulazioni vocali di profondo spessore che rendono i brani simili a pezzi recitati e si sposano bene con le voci degli artisti che hanno contribuito ad impreziosire questo disco, ossia: Modena City Ramblers in “L’artista”, Combass degli Apres La Classe in “Mamamia”, Santino Cardamone in “Mare lasciami andare”, I Musicanti del Vento in “Vento”, Brace con “Lasciami stare”, Empatee du Weiss in “Acida” e, infine, KayaDub in “Movement”

Un lavoro ricco, il cui ascolto procede lineare e trasporta, se ci si vuole lasciare andare, in atmosfere zingaresche tra il suono incantato del folklore celtico e il calore dei ritmi movimentati balcanici.

01. Menestrello
02. Voci di marinai
03. Zingara
04. L’artista
05. Disegnerò
06. Cirque Grand Paradis
07. Vento
08. Col permesso della luna
09. Lasciami stare
10. Convinto
11. Movement
12. Parto
13. Mare lasciami andare
14. La rapina
15. Mammamia
16. Vanità
17. Il furgone
18. Acida

a cura di: Francesca Mastracci

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