Suede – The Blue Hour

È arrivata l’ora blu, l’ora più mistica ed enigmatica, l’ora in cui il cielo si tinge della luce crepuscolare della notte in arrivo, l’ora in cui tutto diventa possibilità e la fine si trasforma in inizio, l’ora dell’inquietudine e dell’amore. Tutto questo, e anche qualcosa in più, è racchiuso in The Blue Hour, ultimo disco in studio degli inglesissimi Suede, uscito a settembre per Warner Music.

La band, capostipite negli anni 90 del Britpop made in UK, torna a due anni di distanza da Night Toughts per completare la trilogia post-reunion avviata nel 2013 con Bloodsports. L’album prosegue infatti un discorso già avviato nei due lavori precedenti, estremizzandone l’urgenza espressiva e problematizzandone le dinamiche strutturali fino a creare un capitolo denso, eccessivamente (ma meravigliosamente) ricco di pathos e, a modo suo, inaspettatamente catartico. Se è vero che il loro intento programmatico, nelle parole del leader Brett Anderson, era quello di realizzare un disco “sgradevole”, allora si può dire senza riserve che ci siano riusciti. Perché il disco è sublime nella sua sgradevolezza, laddove con il termine si intende l’andare oltre i limiti della carineria sonora, quella orecchiabile e piacevolmente facile da digerire, per dare spazio invece a stilemi impegnativi dove si incastrano tripudi trionfali, atmosfere cupe, sonorità glam, ma anche gli immancabili eloqui Britpop realizzabili a pieno titolo solo dall’unica scuola che quelle sonorità le ha fatte nascere.

L’album si compone di 14 tracce che potrebbero benissimo essere considerate la modulazione su vari registri di un’unica lunga liturgia anthemica, con il ricorso a spoken words o parentesi rumoristiche come anelli di congiunzione tra un pezzo e l’altro, come la traccia di 27 secondi “Dead Bird”, che si apre su un trittico finale in progressione continua fino ad arrivare all’esplosione finale di quasi 7 minuti con “Flytipping”. Un volo!

Digressioni incisive, songwriting penetrante ed esecuzione impeccabile: queste le caratteristiche che rendono l’album forse uno dei migliori della band, dall’intensità di una Rock Opera ma con il guizzo glam che li ha sempre contraddistinti. Sicuramente poi grande valore aggiunto è anche la presenza della City of Prague Philharmonic Orchestra, che conferisce un respiro più alto all’intero lavoro inserendosi negli interstizi di gran bei riff di chitarra e strutturazioni trascinanti di drumming.

Un album bello quanto non immediato. Per ascolti attenti e meditati!

 

Tracklist:

  1. As One
  2. Wastelands
  3. Mistress
  4. Beyond the Outskirts
  5. Chalk Circles
  6. Cold Hands
  7. Life is Golden
  8. Roadkill
  9. Tides
  10. Don’t Be Afraid If Nobody Loves You
  11. Dead Bird
  12. All the Wild Places
  13. The Invisibles
  14. Flytipping

 

A cura di: Francesca Mastracci

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *