Touché Amoré – Lament

“Un album che riesce a raggiungere il maggior numero di persone possibili dalla massima distanza”: con queste parole, a mio avviso particolarmente calzanti, Pitchfork descrive l’ultimo lavoro in studio della band californiana post hardcore Touché Amoré. Si intitola Lament ed è uscito lo scorso ottobre per Epitaph Records, a ben quattro anni di distanza da quello che viene considerato da molti il loro capolavoro indiscusso, Stage Four. Non considerando la ristampa nel 2019 del loro disco d’esordio Dead Horse X, rimasterizzato per celebrarne il decennale, gli anni che sono intercorsi tra questo ultimo disco e il suo predecessore sono stati particolarmente intensi per la band, soprattutto per Jeremy Bolm (leader e principale creatore dei pezzi). Stage Fourera stato un cazzotto nello stomaco di una potenza tale da stendere chiunque; in esso Jeremy aveva mostrato più che mai le sue ferite, facendoci penetrare nel più profondo del dolore che stava vivendo per il lutto della madre morta di cancro. Un disco sublime, estremamente fragile e catartico, che sembrava parlare in nome di un dolore molto più universale e che, proprio per questa ragione, era stato accolto dai fan come un pronto soccorso per i momenti difficili.

Farsi portare di un tale carico di responsabilità, a tratti psicoterapeutica, tuttavia, stava diventando un fattore problematico da gestire. Per questo, ci sono voluti quattro anni per ridefinire quale direzione volevano che prendesse il successore del disco che, ne erano consapevoli, li aveva consacrati nell’olimpo non solo del post-hardcore ma anche dell’emo e sad-core, rendendoli emissari per i fan di guide su come affrontare i momenti tristi.

Con Lamentli ritroviamo dunque tratteggiare, con la loro solita emotività frastornante,  questa nuova fase critica nell’elaborazione del dolore: esorcizzare la paura di non essere abbastanza dopo aver consegnato il definitivo commiato funebre. E per farlo, la band ha capito che era necessario appore del distacco tra se stessi e tutte le cose; guardare la propria vita da lontano per poterla ricostruire: “So I lament Till I reset” canta Jeremy nella titletrack. Ed infatti, questo vuole essere il loro quinto album in studio: un album che prendendo le dovute distanze arriva agli ascoltatori con non meno intensità rispetto a quanto era stato fatto con Stage Four(che al contrario apriva tutte le porte per gli accessi più remoti della loro anima).

Dal punto di vista sonoro e compositivo, abbiamo difronte un disco completamente in linea con la poetica a cui la band ci ha abituati da sempre, improntata su una narrazione che mira a far emergere le punte più acuminate della propria vulnerabilità. La voce e i suoni sono sempre in un equilibrio precario che alterna costantemente tracollo emotivo ed esplosioni detonanti; bisbigli malinconici sussurrati all’orecchio e scosse telluriche da cui spiccano con prepotenza sezioni ritmiche ben solide, scrosci di riff al vetriolo e lo screamo disperato di Jeremy.

Seppur prevalga una certa tendenza ad avere inclinazioni lievemente più soft rispetto alle produzioni precedenti, nel complesso l’intero disco è realizzato sulla base di intrecci strumentali che modulano interstizi midtempo con velocità hardcore, già all’interno dei medesimi pezzo. Tra i capitoli più interessanti di Lament, figura certamente “Limelight” (con il feat di Andy Hull dei Manchester Orchestraa donare una nota aggiunta di rarefazione all’apparato emo già di per sé incisivo nel pezzo); ottimo l’uso del controcanto melo-core nella semi-ballad post-rock“A Broadcast” e in“Reminders” (dove si affaccia Jiulien Baker ai cori); chiusa strepitosa con “A Forecast” che parte lieve per poi infiammarsi a pochi istanti dalla fine (nel testo è presente anche una frustata senza troppi peli sulla lingua a chi nel momento del bisogno sceglie invece di tirarsi indietro: “I’ve lost more family members not to cancer but the GOP. What’s the difference I’m not for certain, they all end up dead to me”).

Molti avevano storto il naso quando avevano appreso la notizia che alla produzione di questo disco avrebbe partecipato  Ross Robinson, considerato uno dei produttori più controversi nel panorama metalcore e responsabile di uscite non propriamente felici per band del calibro di Korn, Slipknote Limp Bizkit. In questo caso specifico, Ross ha contribuito in modo impeccabile alla realizzazione di un disco così ostico per i Touché Amoré ed il risultato è stato un lavoro ispirato in ogni suo dettaglio, che evoca in modo reale ed energico la dimensione live dei versi urlati e vomitati sul pubblico e dei mosh pit disordinati che tanto ci mancano. E noi ce li immaginiamo così, sperando davvero di vederli presto su un palco vero!

 

Tracklist:

  1. Come Heroine
  2. Lament
  3. Feign
  4. Reminders
  5. Limelight (featuring Andy Hull)
  6. Exit Row
  7. Savoring
  8. A Broadcast
  9. I’ll Be Your Host
  10. Deflector
  11. A Forecast

 

A cura di: Francesca Mastracci

8.5

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