
19 giugno 2020. West Hall del complesso vittoriano dell’Alexandra Palace (Londra). Nick Cave. Solo. O meglio, solo insieme al suo pianoforte Fazioli. Nessun membro dei Bad Seeds ad accompagnarlo. Nessun pubblico ad ascoltare le sue note. Giusto qualche sparuto membro della crew per filmare il live stream trasmesso in differita come evento online, da cui è stato tratto un film (che avrebbe dovuto essere trasmesso nelle sale, se solo non fossero stati di nuovo chiusi tutti i cinema quest’autunno) e da quest’ultimo, un album, Idiot Prayer.
Un “preghiera nel vuoto”, come l’ha definita lui stesso, che è un’invocazione che il cantautore australiano rivolge ad entità metafisiche, le stesse che lo stanno guidando nel suo percorso artistico da un po’ di tempo ormai, dandogli la spinta propulsiva che gli ha consentito di esorcizzare il proprio dolore per la perdita del figlio. E se Ghosteen (2019) era stato appunto una carezza di commiato funebre con lo sguardo rivolto verso l’etere, questo live album è espressione mutatis mutandis dello stesso bisogno di credere in qualcosa che trascenda il tempo presente.
Idiot Prayer è dunque un flusso di coscienza in forma musicale, con una valenza simbolica molto potente. Nell’intento di rappresentare questo specifico momento storico così fragile e precario per la storia dell’umanità, Cave si spoglia (per necessità ma anche per scelta) di qualsiasi orpello e modella una scaletta che è un concentrato di bellezza immateriale, a tratti trascendentale a tratti alienante, che tocca l’anima anche per la presa diretta con qui è stato eseguito.
Nella parte finale di “(Are You) The One That I’ve Been Waiting For?” c’è un momento in cui si percepisce una lieve risata. Anche senza aver a mente la reference visiva del live, si comprende che il motivo per cui Cave sta ridendo è che si accorge di aver steccato una nota sulla coda del pezzo. In quel sorriso c’è tutta l’essenza di Idiot Prayer. Il bisogno di sorridere, di andare avanti, di riconnettersi con la propria umanità. Ecco perché difficile descrivere a parole quest’esibizione. Perché rappresenta molto altro su tanti livelli interpretativi.
Dal punto di vista performativo, probabilmente l’imperfezione minimalista che Cave sceglie di non emendare (sia dal punto di vista dello strumento che della voce) conferisce un valore aggiunto alla liricità solenne nel suo complesso.
La scelta della scaletta anche risulta ben ponderata: tra i 22 pezzi che la compongono, oltre l’inserimento di due pezzi del suo side project, Grinderman, (“Man in the Moon” e “Places of Montezuma”), troviamo grandi classici del suo repertorio, come “Into My Arms”, “The Ship Song”, “The Mercy Seat”, “Jubilee Street”, “Higgs Boson Blues”, “Girl In Amber”. Fa capolino inoltre l’unico inedito, “Euthanasia” (dai tempi di Skeleton Tree), minimale anch’esso fino all’osso, non certo l’highlight del live, ma con un verso che descrive alla perfezione i tempi che sono: “And in losing myself I found myself//Found myself in time”.
Ascoltare Nick Cave è una cura dell’anima. Ascoltarlo mentre cerca di riempire con la sua musica i vuoti che questa pandemia sta scavando sempre più voracemente nei nostri cuori, è un regalo prezioso. Grazie, come sempre Nick!
Tracklist:
- Spinning Song
- Idiot Prayer
- Sad Waters
- Brompton Oratory
- Palaces Of Montezuma
- Girl In Amber
- Man In The Moon
- Nobody’s Baby Now
- (Are You) The One That I’ve Been Waiting For?
- Waiting For You
- The Mercy Seat
- Euthanasia
- Jubilee Street
- Far From Me
- He Wants You
- Higgs Boson Blues
- Stranger Than Kindness
- Into My Arms
- The Ship Song
- Papa Won’t Leave You, Henry
- Black Hair
- Galleon Ship
A cura di: Francesca Mastracci
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