Afterhours – Folfiri o folfox

Eccolo il disco del ritorno, dopo una situazione che ormai sembrava ingestibile arriva Folfiri o Folfox. La defezione di Giorgio Prette, membro co-fondatore e metà sezione ritmica, l’abbandono di Ciccarelli, la morte del padre di Manuel e il suo allontanamento dalla band per una settimana avevano lasciato temere il peggio.
Il titolo, legato alla tanto temuta chemioterapia cura molto discussa e controversa per il male del secolo, non è proprio dei più speranzosi e rosei ma i numeri ormai parlano chiaro. In qualche modo lo si deve pur affrontare, Agnelli l’ha fatto a modo suo, sviscerandone i personali passaggi con un disco spigoloso, potente e disperato (forse anche troppo), doppio e con 17 canzoni che lambiscono territori diversi fra loro. Dissonanze disseminate sin dalle prime note di Il mio popolo si fa, seconda take preceduta dall’opener Grande in cui Agnelli mette a nudo la voce dell’anima in subbuglio. Bassi distorti, predominanti, e batterie taglienti (Fa male solo la prima volta) incrociano gli arrangiamenti degli archi supportati dagli accordi in contrappunto del pianoforte (L’odore della giacca di mio padre).
La ricchezza stratificata degli strumenti è così ampia che le chitarre aspettano il momento giusto per ruggire e l’intero mood risuona diverso, trasversale, qualcosa a cui non siamo abituati, una virata quasi inaspettata fatta di piccoli particolari la cui sommatoria innesca una strana reazione emozionale durante l’ascolto (Cetuximab).

L’immaginario suscitato è ancora tenebroso e stranamente fresco considerato il trentennio passato insieme. Suonano rinnovati sebbene dopo il prolisso e zoppicante Padania, e gli eventi luttuosi, quest’ulteriore sviluppo non era qualcosa di facilmente auspicabile né altrettanto fattibile. San Miguel ne è la netta riprova, un brano sciamanico e ipnotizzante, territorio inesplorato per la band che infila questa strana nenia fatta di effetti elettronici e canto mantrico.
Il vero fendente delle asce emerge a metà percorso, rintracciabile in Qualche tipo di grandezza dall’incipit à la Q.O.T.S.A.
Il passo falso è rappresentato dal trittico Oggi, del tutto soprassedibile come la melodia telefonata di Né pani né pesci con tanto di assolo strappalacrime in stile Red Hot Chili Peppers ultimo (decadente) periodo e testo di cui avremo fatto volentieri a meno, al terzo posto si piazza Se io fossi il giudice (purtroppo per i partecipanti di X-Factor e per alcuni fan da un po’ lo sei Manuel).

Disco molto intimo, ci si sente quasi a disagio entrando nel mondo in cui Agnelli e soci mostrano il fianco scoperto e hanno smesso di nasconder(si)e le emozioni che li hanno travolti, né tantomeno hanno dimenticato la missione di spazzare via la tanto temuta mediocrità (compositiva) evitando di sedersi comodi in studio nel tentativo di realizzare un album fotocopia dei precedenti. Questo tentativo di scrollarsi di dosso alcune dinamiche stilistiche troppo obsolete ormai ha prodotto un lavoro malevolo capace di ripagare anche le aspettative dei fan.
A 50 anni gli Afterhours confermano quanto di buono hanno fatto nell’ultimo decennio evolvendo in quello che dovrebbe rappresentare una sana forma d’invecchiamento per ogni artista che si possa rispettare.

Disco 1
01. Grande
02. Il mio popolo si fa
03. L’odore della giacca di mio padre
04. Non voglio ritrovare il tuo nome
05. Ti cambia il sapore
06. San Miguel
07. Qualche tipo di grandezza
08. Cetuximab
09. Lasciati ingannare (una volta ancora)

Disco 2
01. Oggi
02. Folfiri o Folfox
03. Fa male solo la prima volta
04. Noi non faremo niente
05. Né pani né pesci
06. Ophryx
07. Fra i non viventi vivremo noi
08. Il trucco non c’è
09. Se io fossi il giudice

a cura di: Giuseppe Celano

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