Bad Religion – Age of Unreason

Non si è mai anacronistici quando i tempi sono maturi affinché un messaggio abbia la necessità di essere espresso in tutta la sua potenza apolide e atemporale, come sanno essere solo i messaggi che partono dal profondo. Il linguaggio potrà anche essere poco diverso da quello che usavano quarant’anni fa, ma quanto suona contemporaneo eseguito da loro in questo periodo storico così fragile. Questo è Age of Unreason, diciassettesimo album in studio per la band californiana che non necessita di troppe presentazioni in realtà, i Bad Religion, mattatori indiscussi nell’arena del punk hardrock fin dai loro primissimi esordi negli anni Ottanta.

Il disco, uscito per l’etichetta Epitaph Records (di cui il chitarrista Brett Gurewitz è fondatore, ndr) è un attacco efferato, come emerge già dal titolo, nei confronti delle derive nazional-populiste di governi che seminano terrore e intolleranza come portabandiera del clima di paura e odio generalizzato in quest’età dell’irrazionale.

In questo periodo storico cosi antagonista dello spirito Illuminista,  marcato piuttosto dall’ignoranza generalizzata, dal disinteresse e dalle fake news propinate come verità messianiche, la penna di Greg Graffin, leader della band, si scaglia impietosa su tutte le facilonerie critiche del politically correct: “We decree the pen more mighty than the gun/While the fools believe as one/In this unrepentant age of unreason” cita il testo della titletrack. Ma non si pongono mai con il pressapochismo pretenzioso ex cathedra (Graffin è un professore universitario), piuttosto presentano la loro posizione in maniera lucida e ponderata. In questo, la ricercatezza del songwriting è uno dei grandi valori aggiunti della band da sempre.

Dal punto di vista musicale, come già detto, il registro mantenuto dai Bad Religion è quello a cui ci hanno abituati da sempre, niente più e niente meno. Non cedono di un passo nel loro perfetto equilibrio tra melodia e prepotenza, punk scanzonato e tirature anthemche. I quattordici capitoli (quindici nella versione corredata di bonus track “The Profane Rights of Man”) che scandiscono la tracklist  scorrono veloci per un totale di una quarantina di minuti super serrati e diretti ma che non disdegnano vari ed eventuali indugi in passaggi più melodicamente distesi (come ad esempio “The Approach” e la radio friendly “ My Sanity”) e incursioni Nineties (“End of History”, “Age of Unreason”). Particolarmente riusciti, però, come sempre, risultano essere le tracce in cui emerge violenta tutta la loro verve hardcore con rullanti infervoriti, ritmicamente portentosi e riff urticanti (“Do The Paranoid Style” “Big Black Dog”, con tanto di riferimento sfrontato al Russiagate,  o la traccia opener “Chaos From Within”).

Infine, i Bad Religion escono da questa diciassettesima prova a testa alta, confermando un’attitudine che pochissimi possono vantare e una credibilità che ancora meno sono in grado di avere. Cinquantenni incazzosi come fossero ancora gli stessi ragazzi che negli anni Ottanta vomitavano contro la società americana tutte le nefandezze che vi vedevano espresse.  Passano gli anni, ma loro sono sempre gli stessi di allora. Con una consapevolezza e una maturità artistica più raffinate rispetto al passato, ma con la stessa immutata faccia tosta che li ha resi una band che, appunto, non ha bisogno di presentazioni. Ai giovani di allora e ai giovani di oggi, lo spirito di ribellione quando è autentico parla un linguaggio comprensibile universalmente.

 

Tracklist:

  1. Chaos From Within
  2. My Sanity
  3. Do The Paranoid Style
  4. The Approach
  5. Lose Your Head
  6. End Of History
  7. Age Of Unreason
  8. Candidate
  9. Faces Of Grief
  10. Old Regime
  11. Big Black Dog
  12. Downfall
  13. Since Now
  14. What Tomorrow Brings
  15. The Profane Rights of Man (bonus)

 

A cura di: Francesca Mastracci

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