Deaf Havana – All these countless nights

A volte capita che la vita ti butti giù nel baratro, irrimediabilmente, e a quel punto l’unica scelta che sembra essere possibile è quella di lasciarsi trascinare sempre più in basso. Oppure succede che decidi di fare i conti con quello che è rimasto per risalire su, mettendocela tutta per rinascere dalle ceneri di un passato che non ti appartiene più, ma continua a far parte di te dandoti la forza di andare avanti. Questa è la storia dei Deaf Havana, il gruppo inglese di Norfolk, che dopo una serie di sfortunati eventi più o meno gravi (tra cui problemi di alcol ed ingenti difficoltà finanziarie, che sembravano non far risollevare più la band), tornano alla ribalta con un album che certamente segna una svolta decisiva nella loro carriera. All These Countless Nights, uscito lo scorso 27 gennaio, a tre anni di distanza da Old Souls, si presenta come il lavoro più carismatico e creativo della band. Si tratta di un disco che esplora le sfumature più rock, a tratti alternative, di un genere in cui il gruppo aveva trovato il proprio equilibrio restando in bilico tra post-hardcore ed emo. Ma se anche l’album prende le distanze dalle prove precedenti, è vero anche che ne mantiene le caratteristiche compositive e la forza espressiva proprie dei Deaf Havana sin dagli esordi.

Non è un caso che la copertina dell’album ritragga una ragazza con una torcia in mano e che la traccia opener dell’album sia affidata emblematicamente ad “Ashes, Ashes”, la quale segna sia metaforicamente che musicalmente una rinascita dalle ceneri del passato, partendo con un intro essenzialmente acustico di chitarra per poi giungere ad un’esplosione di colpi di batteria che segnano una progressione sempre più incalzante in una cornice di cori. Questo bilancio tra scene sonore che intrecciano planate lievi a picchi più incisivi rappresenta la marca di fabbrica dell’album, mettendo in risalto, attraverso il contrasto di ritmiche, la profondità della voce di James Veck-Gilodi, ora più cristallina ora più graffiante. Così è anche per “L.O.V.E”, in cui il suadente riff di batteria si scontra con sferzate distorte di chitarra o anche “Like a Ghost”, dove l’electro-pop sintetizzato della prima parte del pezzo trova un interessante ed inaspettato connubio con svirgolate di rock massiccio nella parte finale. All’impatto emozionale acustico costituito da pezzi come “Happiness” o le ballate “St. Paul” e “Seattle” fanno eco l’energia esplosiva di “Fever” e “Sing”, primo singolo estratto per anticipare l’album, con un ritornello che subito si pianta in testa. Bei groove di batteria e fantastici assoli di chitarra per “England” e “Pretty Low”, mentre invece la chiusa è affidata allo spiraglio riflessivo, violento ed essenziale, rappresentato da “Pensacola, 2013”.

Un album intenso, che denota la maturità artistica dei Deaf Havana e la profonda consapevolezza che i quattro (ormai diventati cinque) di Norfolk hanno acquisito nei confronti delle possibilità musicali che possono essere esplorate se si sceglie di restare a galla, se si sceglie l’arte come via di fuga per salvarsi la vita.

01. Ashes, ashes
02. Trigger
03. L.O.V.E.
04. Happiness
05. Fever
06. Like a ghost
07. Pretty low
08. England
09. Seattle
10. St. Paul
11. Sing
12. Pentacola, 2013

a cura di: Francesca Mastracci

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