Eat the Elephant – A Perfect Circle

Come si fa a mangiare un elefante intero? Boccone dopo boccone, senza troppa voracità e correre il rischio di essere sazi dopo i primi assaggi. Ci vuole tempo, ostinazione e pazienza. Dilatato, il piacere è molto più godibile e si colora di aspettative e di soddisfazioni appagate morso dopo morso. No, nessuno qui intende dare consigli gastronomici sull’edibilità degli elefanti, ma tutto questo discorso introduttivo vale come metafora per presentare il nuovo album di una band che manca dalle scene ormai da più di 14 anni (tralasciando la parentesi di cover di eMOTIVe del 2004, bisogna risalire all’anno precedente per trovare un disco di inediti, Thirteen Steps). E così, finalmente, incastrando quest’album tra i vari progetti paralleli del cantante Maynard James Keenan (Tool, Puscifer) e del chitarrista Billy Howerdel (Ashes Divide) sono tornati gli A Perfect Circle con un’opera maestosa ed imponente, proprio come un elefante. Eat the Elephant, questo il titolo per l’appunto, è un percorso suddiviso in dodici tracce che proseguono il discorso avviato nel 2000 con Mer de Noms e lo declinano sfumandolo verso soluzioni inattese, ma non per questo meno valide.

Il sound che gli APC riescono ad intavolare, ancora una volta, crea una bolla di sospensione e di rarefazione perfetta, che non scende a compromessi con le incalzanti richieste del mercato discografico odierno. Elettricità incendiarie dal ritmo sostenuto e ricami morbidi sospesi si intrecciano fondendosi in arrangiamenti in grado di declinare le sonorità progressive rock ora nelle sue componenti più heavy, ora in crossover sintetici e power glam e ora in melodie dreamy molto più distese rispetto a quello a cui ci avevano abituati con i lavori precedenti. Tutto si interseca alla perfezione, amalgamandosi con quel gusto amarcord dall’impatto emotivo che li contraddistingue in modo totalmente singolare.

Il fil rouge che percorre i testi, caratterizzando un song writing sempre molto raffinato, è il tema della solitudine e disgiunzione umana ai tempi delle ossessioni al silicone, nell’era in cui tutti non sono che il riflesso di nessuno, sotto il controllo soggiogante della connessione social che ci disconnette allontanandoci sempre più. Ma dopotutto, il messaggio sotteso che cercano di far emergere con questo album è che se, nonostante siamo soli (“fuck the doomed, you’re on your own” cantano in “The Doomed”), allo stesso tempo però resta sempre una piccola speranza di ri-unione, un filo invisibile che non si spezza e ci tiene legati in un modo o nell’altro (“You were never an island” cantano in “Disillusioned”, mutuando il verso da una poesia di John Donne, citata anche da PJ Harvey in risposta al tema Brexit).

Capitoli di un’oscurità soffusa e magnifica si susseguono a momenti di elettricità robotiche, essenzialismi acustici e riff ruvidi, distorsioni e modulazioni.

Intenso, passionale e struggente. Un disco in cui non mancano citazioni sia musicali che letterarie. Si sentono forti gli echi depechemodiani (lo stesso Maynard ha dichiarato di averne tratto grande fonte di ispirazione), qualche accenno al sound creepy dei Radiohead e agli ultimi Smashing Pumpkins (di cui il chitarrista James Iha faceva parte), distensioni pinkfloydiane e stravaganze à la Bowie (“Major Tom” citano in “So Long And Thanks For The Fish”, tributo aallo scrittore Douglas Adams). C’è chi intravede anche l’eco dei Cure negli spiragli più dark e la poesia straziante di Steven Wilson nei brani in cui il piano è il traghettatore verso sogni inattesi e malinconici. Sostanzialmente, tutte queste influenze notate dalla critica che a livello generale, però, dicono tutto e dicono nulla. Certo, gli APC non hanno il bisogno di copiare qua e là per trovare fonte di ispirazione. Ma mettiamola diversamente: il loro suono è talmente composito da rievocare un calendoiscopio così variegato e discontinuo. Loro si situano lì, nell’interstizio dove tutto diventa possibile e nulla è vietato.

Quattordici lunghi anni ci sono voluti per far vedere la luce a questa creatura. E beh, ne è valsa la pena!

 

Tracklist:

  1. 01.Eat The Elephant
  2. Disillusioned
  3. The Contrarian
  4. The Doomed
  5. So Long, And Thanks For All The Fish
  6. TalkTalk
  7. By And Down The River
  8. Delicious
  9. DLB
  10. Hourglass
  11. Feathers
  12. Get The Lead Out

 

A cura di: Francesca Mastracci

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