Heavenblast – Stamina

“Stamina”, il nuovo disco dei “Heavenblast”, arriva a 10 di distanza dal precedente.
10 non sono pochi! Anzi, sono decisamente tanti! …Ci deve interessare ai fini della recensione?
Direi di no, ma ci dice molto sulle vicissitudine che hanno caratterizzato la storia recente della band di Chieti e ci aiuta a capire a che punto del percorso siamo in questo preciso momento.
Una band che nasce negli anni ’90 prendendo ispirazione da gruppi come Litfiba, Green Day e Nirvana e che nell’intervallo di un batter d’ali di una farfalla si ritrovava a confrontarsi con un suono invece marchiato a fuoco nel Power, nel Symphonic e nel più classico Heavy Metal in stile Iron Maiden!
“Heavenblast”, “Fashback” e poi, dopo appunto 10 anni, eccoci a “Stamina”.
Nel frattempo a guida della band, a terminare le canzoni elaborate con i vecchi componenti, è rimasto il solo Donatello Menna alla chitarra.
L’ensemble si è arricchito di nuovi elementi, ed il suono, basato in origine sulle chitarre, è stato qui assorbito da una tastiera che senza dubbio ha assunto il ruolo di strumento predominante di tutto il disco.
Inutile dire che a molti fan della prima ora questo forse non piacerà!
Le atmosfere sono imponenti, le canzoni tirate, energiche, elaborate.
Non tutti i pezzi hanno la stessa immediatezza, ma sono compensati da altri che non ti lasciano davvero il tempo per respirare.
Così come si legge nelle interviste, “Stamina” è un disco sull’ingiustizia.
Un disco quindi a tratti irrequieto, ma ammorbidito da un sound che dal Power Metal con spruzzate di Prog si è fatto decisamente molto più progressive, più melodico (…troppo) e decisamente meno forgiato nel metallo pesante! Altra cosa che forse piacerà meno ai più affezionati.
Numerose sono le voci in duetto, addirittura 5, che fanno da contraltare a quella di Chiara Falasca.
Forse troppe. Forse confondono un po’ e tolgono riferimenti all’identità della band, ma forse sono solo riflessioni inutili che niente tolgono alla qualità finale del disco.
Le 8 tracce, più l’intro iniziale, si discostano molto dal suono delle origini e solo le ultime 3 canzoni vi si riavvicinano creando un legame diretto con quello dei precedenti lavori.
L’intero disco è suonato in maniera impeccabile, e notevole è la perizia tecnica del suono. Ciò che invece non mi ha convinto, è questa eccessiva predominanza della tastiera su tutto il resto (…ma può essere una questione di gusti) e la troppa morbidezza di certe canzoni, che a tratti sono davvero inondate da troppo “miele”.
Inoltre ho trovato essere davvero pochissimi gli spunti originali e ancor meno ho scovato tracce di una volontà chiara di alzare l’asticella verso nuovi punti di arrivo. Per me non si va oltre l’avvicinarsi alla sufficienza.
Peccato!

 

Tracklist:

1. Mind Intruders
2. Purity
3. Alice in Psychowonderland
4. We Are State
5. The Rovers
6. Don’t Clean Up This Blood
7. Sinite Parvulos Venire Ad Me
8. S.T.A.M.I.N.A.
9. Canticle Of The Hermit

 

A cura di: Simone Grazzi

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