Intervista ai Diraq

OUTSET è il nuovo LP dei Diraq. Un lavoro che parla di provincia, di sogni e speranze, di lotte, di vendette e di amicizie, di certezze ed incertezze nei tempi che cambiano veloci. Il disco dipinge una realtà prettamente surreale, dove personaggi e situazioni sono allegorie dei vari connotati della società, rappresentati dai contrasti sociali, colore della pelle, intolleranze di genere e un costante desiderio di evasione, o semplicemente di trovare il proprio posto nel mondo. Registrato da Antonio Gramentieri e Roberto Villa nello studio L’amor mio non muore (Forlì, IT) Masterizzato da Giovanni Versari – La Maestà Mastering (Tredozio, IT)
Ciao ragazzi, raccontateci un po’ di voi da dove nascono i diraq.
Ciao e grazie per lo spazio. Siamo una band Umbra che fa musica inedita dal 2009, abbiamo pubblicato diverse cose nel corso degli anni, cercando di suonare dal vivo il più possibile, sempre con un approccio romantico e forse anacronistico nei confronti della discografia moderna, processo non certo dettato da una volontà forzata di andare controcorrente, ma piuttosto dal rispetto dei naturali tempi di crescita di cui necessita un idea musicale per svilupparsi. Non abbiamo mai avuto le ali, abbiamo sempre viaggiato a piedi e nel girarci indietro ci siamo accorti che passo dopo passo abbiamo percorso un bel pezzo di strada, ora in casa diraq c’è una nuova identità, un nuovo disco appena uscito e la consapevolezza che c’è ancora tanta strada da percorrere.

Quale è l’artista che maggiormente vi ha inspirati? Sapreste consigliare un lavoro uscito negli ultimi 5 anni che ritenete veramente degno di nota? Perché?
Molti, anche negli ultimi cinque anni sono usciti diversi dischi che ci piacciono, sia di artisti italiani che internazionali, ma la risposta alla tua domanda è molto semplice in realtà, è sicuramente “Outset” il nostro disco preferito, anche perché lo abbiamo scritto noi, lo abbiamo desiderato, ci abbiamo investito e abbiamo riposto in esso sogni e desideri, crediamo fermamente che sia davvero l’unico disco che tutti dovrebbero avere in casa ed ascoltare quotidianamente, ti aspettavi una risposta diversa?

Parlateci un pochino di Outset. Come è nato?
È un lavoro nato da una serie di incontri, alcuni cercati ed altri capitati fatalmente, sicuramente importante è stato quello con Antonio Gramentieri, con il quale c’è stata sintonia sin da subito e l’affidare a lui la produzione artistica di questo disco è stata una scelta vincente. Ci è stato proposto di registrare in total analog su nastro, in presa diretta alla sala di incisione dischi “L’amor mio non muore” di Roberto Villa, abbiamo accettato e mai scelta fu più azzeccata. “Outset” racconta in maniera surreale un mondo ipotetico ma tangibile, dai connotati forti e dai parallelismi concreti con ciò che è per noi la società. Una realtà a volte violenta e immatura, ma anche romantica, dove i personaggi desiderano una propria redenzione cercando di sovrastare un mondo che di conseguenza li sovrasta; c’è chi si nasconde e chi invece vuole mostrarsi, chi desidera la donna degli altri e chi ha paura della solitudine, chi prega di ritrovare se stesso mentre viaggia di notte da un bar all’altro, chi è felice per le novità che lo attendono, chi apprezza il calore della sua famiglia, chi crede ancora nell’amore. Outset è un disco di meticciato contemporaneo che vuole raccontare un momento di cambiamento, affacciandosi da Cabo Sao Vicente, cercando di specchiarsi oltre l’oceano alla ricerca di un mondo che sia altro da se, ma anche familiare. Siamo felici che sia stata Jap Records a curare questa pubblicazione, un collettivo di persone che hanno a cuore la nostra musica e fanno il massimo per farla conoscere in un mercato ogni giorno più saturo e confusionario.
Quale é l’artista piu’ sopravvalutato e quello piu’ sottovalutato sulla scena musicale italiana e non e perchè?
on crediamo si possa parlare di sopravvalutati o sottovalutati, ogni musica ha il suo percorso e il suo pubblico, è normale che un prodotto commerciale abbia molto più pubblico di un una cosa jazz sperimentale. Se un musicista ha un forte Hype, vende dei dischi, fa visualizzazioni e riempie stadi o palazzetti, anche se magari la musica che propone non ci piace, va rispettato, se non lui almeno il pubblico che lo segue, e sicuramente se non è la musica a gratificarci gli riconosciamo il lavoro di marketing o la bravura nella comunicazione. Bisogna essere coscienti che ci sono tanti aspetti nel mercato musicale che hanno più peso della musica stessa, che piaccia o no. Ovviamente noi cerchiamo di mettere sempre le canzoni al centro del discorso e crediamo che non tutta la musica sia creata con l’ambizione di riempire gli stadi. Fare musica è prima di tutto un gesto artistico, poi certo, anche un’operazione commerciale, ma tutte le cose che abbiamo fatto fino ad ora ce le siamo guadagnate col sudore, mentre le cose che non sono arrivate probabilmente non ce le siamo meritate, mettiamola così. Non ci è stato chiesto, ma dato l’argomento che stiamo trattando riteniamo doveroso dire due cose anche sul grottesco fenomeno delle tribute band, una cosa priva di arte e sensualità, di visione, di coraggio e di rischio, che scardina completamente i principi di urgenza comunicativa, missione principale del fare musica. Pagare migliaia di euro un prodotto confezionato apposta per essere un surrogato che si illumina di luce riflessa con il successo dell’artista originale non è certo un bel vedere.
Progetti per il futuro?
È uscito “Outset” adesso per un po’ di tempo faremo tutto ciò che è in nostro potere per farlo conoscere, suonando le sue canzoni nelle situazioni dove si spera ci sia un pubblico attento e interessato, abbiamo bisogno di continuare a sentire la strada muoversi sotto i piedi, sempre una sensazione esaltante.

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