
I Less Than Jake, pionieri dello ska-punk americano degli anni ’90, torneranno in Italia nel mese di giugno con due date del loro tour europeo organizzato per promuovere l’EP Sound The Alarm (uscito per Pure Noise Records). La prima data sarà giovedì 7 giugno a La Sbiellata Sanzenese di Olgiate Molgora in provincia di Lecco (ingresso gratuito) e l’altra giovedì 28 giugno al Circolo Magnolia di Milano per il festival Punk In Drublic (insieme, tra gli altri, a NOFX e Mad Caddies). In attesa di vederli live, abbiamo fatto due chiacchiere con il cantante Chris DeMakes.
Ciao Chris e grazie per la disponibilità. Innanzitutto, complimenti per i vostri ventisei anni di carriera. È un bel po’ che siete in giro per il mondo a incendiare i palchi con le vostri live al tritolo. A cosa attribuite questa longevità?
Non abbiamo mai smesso di essere una band attiva e funzionante. Nell’arco di tutto questo tempo siamo sempre stati in tour e abbiamo pubblicato sempre musica nuova. Non abbiamo mai dato modo alla gente di dimenticarsi di noi.
Indubbiamente, c’è una forte alchimia tra di voi e questo si percepisce durante i vostri show. Ma ci sono stati momenti in cui avreste semplicemente voluto accantonare tutto e mettere la parola fine?
Non troppo. O almeno no, in quanto membri della band. È ovvio che essendo esseri umani, come nella maggior parte dei casi accade (non sempre!) siamo portati a mettere in discussione cosa cazzo ci sta succedendo nella nostra vita arrivati ad un certo punto. Io me lo sono domandato, ma questo non mi ha mai fermato nel voler continuare a fare quello che stavo facendo con la mia band.
Passiamo ora ai momenti migliori. Il messaggio dietro il vostro lavoro sembra essere sempre: “divertiti nel fare quello che fai, è la cosa più importante”. Qual è l’aneddoto che condividete e che ha reso il vostro percorso piacevole?
Trattare tutti i membri della band in modo uguale. Se si infrange questa regola, si finisce sempre male.
L’ultima traccia di “Sound The Alarm” è “Things Change” (che era in qualche modo un eco a “Good Times for a Change” del 1996). In che modo le cose stanno cambiando per voi da quel momento?
Potrei dire che gli hangover sono orribili ora, ma in compenso canto meglio, quindi va bene così.
Siete stati tra i pionieri assoluti dello ska punk. Il pubblico che segue il genere oggi è più o meno lo stesso che ne aveva visto l’apogeo degli anni ’90. Le generazioni più giovani sono attratte da altri tipi di musica. Cosa vi aspettate per il futuro del vostro genere?
Non ne sono troppo sicuro. Spero che continui ad evolvere, ma mantenga la sua autenticità.
La dimensione live è in assoluto la vostra dimensione. Come vi preparate per le esibizioni?
Io non mi preparo mai troppo in realtà. Ci sediamo in cerchio con i ragazzi e ci diciamo sempre le stesse cazzate che ripetiamo da 25 anni ormai prima di salire sul palco.
Cosa si devono aspettare i novelli che vengono per la prima volta ad un vostro spettacolo?
Energia ad alti livelli, un mucchio di stronzate, punk veloce e ska misto alla migliore sezione di corni che questa zona di Milano può offrire.
Qual è la canzone che più di tutte rappresenta la vostra identità musicale? La vostra creatura?
“Escape From The A-Bomb House”.
C’è qualche band della scena musicale contemporanea con cui vi piacerebbe collaborare?
C’è un tizio che suonava in quella band in quel programma televisivo, come si chiamava? O i Green Day.
Avete sempre mantenuto una certa distanza dal mainstream in questi anni. Vi pentite di questa scelta?
Oh, no, noi lo abbiamo seguito il mainstream, sono loro che non hanno seguito noi. Bastardi!
Dopo il tour avete intenzione di tornare in studio?
Non quest’anno, ma speriamo nel 2019!
Grazie ancora per l’intervista. Non vediamo l’ora di venire a sentirvi.
Grazie a voi. E noi non vediamo l’ora di venire a suonare lì.
(a cura di: Francesca Mastracci)
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