Intervista Hybrid Circle

HYBRID CIRCLE

Una band rivolta al futuro, questo sono gli abruzzesi Hybrid Circle, autori di un ottimo prog-
tech metal che ha raggiunto il suo apice nel nuovo disco “A matter of faith”. Incontriamo la
band per saperne di più sul disco e cosa ci aspetta da loro in questo 2015.


Contaminazione e scenari futuristici. Così ho esordito nel recensire il vostro disco. Vi
ritrovate in queste due parole e in che modo esse hanno influito nel percorso degli Hybrid
Circle?

Ci ritroviamo in maniera assolutamente perfetta in questa descrizione e le influenze che esse
hanno avuto sul nostro percorso artistico sono totali. Noi siamo maturati, la nostra musica è
maturata sempre con uno stimolo nuovo e sempre con un’idea nuova, andati avanti a forza di
visioni e allucinazioni. Siamo così, noi. Però poi il bello è che per decodificare il futuro ti serve una
chiave e questa chiave può risiedere solo nel passato.

A proposito del vostro amore per fantascienza e futuro, quali film, libri e artisti hanno in
qualche modo influenzato il DNA della band?

Hai aperto un database senza fine! In molti ci fanno questa domanda, ma questa volta voglio
togliere ogni dubbio: sì, noi siamo amanti della fantascienza e del futuro, però non in modo
obbligatorio. Per noi è importante lasciare un messaggio e forse siamo più filosofi che scienziati.
Detto questo posso darti la mia personalissima lista di droga letteraria: come scrittori sono un fan
di Isaac Asimov, Philip K. Dick, Ken Follet, Konsalik (“10 vite vendute” lo consiglio a tutti), mentre a
film sto messo un po’ male perchè non sono un grande cultore… Diciamo che preferisco leggere.
Musicalmente sono un grande fan di Porcupine Tree, Opeth, Meshuggah, Devin Townsend,
Celldweller e Zardonic. Ora pensa che ogni membro della band ha interessi completamente diversi
e offre il meglio di sè e del suo bagaglio culturale al progetto. Poi non resta che trovare l’equilibrio
perfetto. E’ questa la ricetta degli Hybrid Circle.

Il fatto di essere da sempre legati a questi aspetti vi pone in un contesto assai diverso dalla
classica band che produce dischi senza un concept alla base. Una sorta di sfida personale
la vostra? Quali sono le maggiori difficoltà nel dover ogni volta cercare un tema portante?

Le sfide ci piacciono e anche molto, però non troviamo molte difficoltà nel studiare ogni volta un
tema portante. Come ho detto inizialmente: a noi piace avere una visione, un’allucinazione che ci
fa venire i brividi e credimi, ci basta poco per immaginare tutta la storia e far partire tutto un viaggio
su quel tema. E’ davvero emozionante e naturale per noi. Siamo abituati a parlare molto di quello
che ci piacerebbe raccontare, del messaggio che vorremmo lasciare all’ascoltatore, così ci
ritroviamo spesso a fare brainstorming. Le idee non mancano mai.


Un brano come “Digi-Christ” credo rappresenti in qualche modo una visione interessante
del vostro concetto di religione. Volete raccontarci di cosa tratta il brano e di quanto esso si
leghi a una visione diversa del tema religioso?

Questa domanda mi piace molto. In realtà non vogliamo rappresentare il nostro concetto di
religione, ma utilizzare il concetto che comunemente abbiamo di religione per affibiarlo a quello
che per molti è diventata una fede: la tecnologia. Ormai stiamo spostando la nostra vita lì, in quella
scatolina virtuale che chiamiamo Internet. Infatti un verso del testo cita “The soul runs on code”, la
nostra anima oggi è un programma per PC, un pezzo di codice. Ora, non dico che sia sbagliato ma
non possiamo ritenere quel luogo come una cosa che esiste realmente. Da cultori della tecnologia
noi pensiamo che quel posto sia una grande opportunità per estendere la percezione della propria
vita e non per spostarcela dentro. “Digi-Christ” vuole essere un messaggio per sensibilizzare
all’attenzione, perchè è facile cadere in una vita non reale.

Parliamo quindi del fattore sonoro: gente come Devin Townsend e chitarristi in generis
sono sicuramente grossa fonte d’ispirazione per voi in fatto di songwriting. Quali artisti
reputate influenti per la causa Hybrid Circle?

Anche se ne ho scritti alcuni prima ne aggiungo degli altri che mi sono venuti in mente nel
frattempo: intanto inizio confermando Devin Townsend e poi continuo aggiungendo Tool, A Perfect
Circle, Soilwork, Muse e… Guarda, credo che la lista arriverebbe fino alla Luna.

Sempre in tema di chitarristi, all’interno del disco troviamo Felix Martin, il quale si è messo
all’opera con una sua parte all’interno del disco. Come sono avvenute le lavorazioni con lui?

Felix è un professionista assoluto e un artista totale, è stato molto semplice: abbiamo individuato il
pezzo che poteva fare per lui e poi gli abbiamo mandato un mixdown, lui l’ha tenuto un po’ di giorni
per lavorarci dopodichè ce lo ha rimandato: buona la prima! Ci è piaciuto da subito, così lo
abbiamo inserito nel mix.

La voce è la sola cosa che non mi ha convinto appieno, decisamente monocorde rispetto
alle molteplici sfumature del vostro sound. Siete d’accordo con questa mia tesi?

Suppongo
di no…
Alla luce del materiale nuovo che stiamo gia producendo mi trovo d’accordo con te. La voce
potevamo trattarla un pochino meglio in “A matter of faith”, ma comunque è uscito un gran colpo!
La nostra attenuante è che abbiamo cambiato cantante in corso d’opera, quindi per Antonio è
stato difficile prendere il treno in corsa e fare tutto come si deve. Io lo ritengo un grande per come
ha gestito il lavoro, ha tutta la mia stima. Ci vogliono le palle ipercubiche per rendere così bene
dopo che una band ti ha messo immediatamente nel frullatore di un disco in fase finale. Sentirete
un cantante rilassato prossimamente, sarà la sagra delle mascelle a terra!

Nessuno di voi è un produttore di ruolo, ciò nonostante il lavoro svolto sui suoni da voi
stessi è decisamente sorprendente. Come è stato confrontarsi con computer, suoni e via
dicendo?

Per noi è normale gestire la nostra produzione, abbiamo sempre fatto così e penso che andremo
avanti in questo modo per molto molto tempo ancora. Il più grande vantaggio della produzione “fai
da te” è quello di potersi gestire il tempo come si vuole. Certo, c’è bisogno di fare un piccolo
investimento per mettere su uno studio in grado di sfornare produzioni all’altezza della media del
mercato, quindi il connubio tra studio e giusta strumentazione minimizza le difficoltà teniche e
garantisce un risultato competitivo.

Siete una band che vanta nel suo curriculum live alcuni show di spicco (vedi Darkest Hour,
Protest The Hero, un tour nell’Est Europa), come si stanno muovendo le cose dal punto di
vista live attualmente?

Direi che tutto si muove in modo positivo, abbiamo gia due tour fissati in Europa per il 2015.
Vorremmo suonare un po’ in Italia, ma credo che la vera fantascienza sia questa.

Non siete soliti a rimanere fermi per molto: state già lavorando su nuovo materiale? Che
impronta avrà?

Sì, attualmente siamo già al lavoro sul nuovo disco e per ora quello che sta uscendo è
assolutamente un lavoro alla Hybrid Circle. Veniamo bombardati ogni giorno da nuovi stimoli e
nuove contaminazioni che poi ribaltiamo sistematicamente nei nostri pezzi. C’è sempre qualcosa
di nuovo e fresco. Non vogliamo portarci sfiga da soli, ma chissà… Forse potreste averlo in mano
nel 2015. Per l’impronta, beh… E’ ancora un po’ presto per le anticipazioni.

Un pregio e un difetto degli Hybrid Circle?

Il pregio è che siamo dei grandi sognatori, il difetto è che ci stufiamo molto presto delle cose che
facciamo.


Chiudiamo con ringraziamenti, saluti e via dicendo?

Grazie per averci dato questo prezioso spazio, "A matter of faith" è sempre disponibile in free
download sul nostro profilo Bandcamp.
Stay Hybrid.

Intrvista di Golem

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