Intervista Le Strade


Le Strade, giovani promesse dell’alternative italiano, si presentano nel 2013 con l’Ep ”In fuga
verso il confine”: quattro brani costruiti attraverso esperienze e culture underground che spaziano
oltre i confini dell’indie/electro per approdare ad una miscela sonora molto personale e intimista.
I testi, scritti in lingua italiana, riflettono pienamente il corpo sonoro intrecciando percorsi e
tematiche sociali contemporanee. Questa è l’intervista che Alessandro Brancati, leader del gruppo,
ha rilasciato per Ondalternativa. Buona lettura!

Iniziamo dal titolo del vostro Ep: che cosa rappresentano la fuga e il confine? Sono due
estremi conciliabili?

Più che di fuga e confine parlerei di obbiettivi e voglia di realizzarli: andare in fuga verso il confine
ha una doppia chiave di lettura sia letterale, sia psciologica, cioè RAGAZZI, QUA SI STA MALE
E NON POCO E SE VOLETE O CAMBIATE LE COSE IN QUALSIASI MODO VI PARE
(ingegnatevi) O VE NE DOVETE ANDARE E IN FRETTA, perchè andrà sempre peggio. E ha
una chiave di lettura anche psicologica cioè non restiamo dentro i soliti schemi che ci sono stati
imposti, scuola elementare, medie, superiori, università, lavoro….si, questo è un percorso, ma ce
ne sono altri miliardi, e ce li dobbiamo creare noi, con la nostra forza di volontà, con i nostri sogni,
con le nostre speranze, non dobbiamo mai pensare di essere buoni a nulla, o non avere talento, o di
non sapere fare le cose, le cose sappiamo tutti farle, di qualsiasi cosa si tratta, è solo questione di
allenamento accostata a una grande dose di passione e anima.

Nel vostro sound sono presenti armonie indubbiamente british e varietà electro-synth. Avete punti di riferimento nel contesto italiano che vi hanno coinvolto e in qualche modo
influenzato?

Guarda, continuano ad accostarci a Ministri e Management del Dolore Post Operatorio, NON LI
ABBIAMO MAI CAGATI PARI, non perchè non ci piacciano ma perchè non ci interessano. Non
ci da fastidio, anzi, i Ministri sono una band che può fare solo bene a questo paese, qualcuno che ha
qualcosa da dire a suo modo ma veramente non siamo sulla stessa lunghezza d’onda, stesso discorso
per i Management…
Abbiamo sicuramente ascolti inglesi e anche qualcosa di americano, ultimamente Black Rebel
Motorcycle Club ci infuocano e non poco!!
In generale, come ho detto in altre interviste, Chemical Brothers, Primal Scream, Stone Roses,
Kasabian, i già citati BRMC, e forse mi dimentico qualcuno ma poco importa.

Tra i brani del vostro lavoro, Il prezzo e Tell Him, You, sembrano una specie di inno
all’identità rubata e camuffata da strutture simboliche lontane dalla quotidianità: ”hanno
provato a darci un intermediario” è anche un riferimento al fatto che stiamo perdendo il gusto
dell’indignazione?

Abbiamo letto con molto piacere le recensioni della critica italiana sul nostro primo lavoro, certe
cose le sai già, non c’è bisogno te le dica qualcuno, una di queste è che il bello delle nostre canzoni
hanno tante chiavi di lettura, io che scrivo dico la mia e poi nelle mie parole pensaci un po’ quello
che ti pare, fatti i tuoi viaggi, dagli il senso che più ritieni opportuno e si, ci sta il fatto che tu abbia
individuato questa particolarità, cioè la perdita dell’indignazione da parte delle persone. La frase in
specifico voleva sottolineare che anche sull’amore sono riusciti a prenderci per il culo, non è una
frase contro le religioni, piuttosto contro la mancanza di ragionamento, la colpa non è loro, è nostra.

Nei testi di ”In Fuga verso il Confine” emerge un io frammentato e disorientato che sconta la
sua individualità con la solitudine. L’attitudine ricorda un mix hardcore/punk/alternative che
dipinge un quadro molto puntuale della realtà contemporanea. Per Le Strade esiste qualche
possibilità di cambiare lo standard attuale?

Si, si può cambiare. Sta a noi, non sono le solite frasi da santone o alla power to the people, è un
discorso reale. Mi ricollego a quello che dicevo prima, se io ho una situazione che non mi sta a
genio faccio di tutto e dico tutto per cambiarla, se non faccio niente, si vede che così male non sto, è
il famoso istinto di sopravvivenza.

La quantità di musica prodotta attualmente raggiunge costantemente vette esorbitanti. Non
è da meno l’insaziabile e illimitata condivisione su internet, accettabile o meno. Forse anche
per questi motivi fare musica di qualità per gli emergenti (e dunque farsi notare), diventa
un’impresa ancora più ardua. Quali pensieri avete al riguardo?

Più che lo sharing il problema è che in questo paese in pochi sanno davvero fare il proprio lavoro,
mi riferisco a coloro che hanno etichette, booking, uffici stampa (e quindi imprese) che non hanno
soldi da investire, la domanda è una: Ma se tu apri un’azienda e non investi come puoi pensare che
ci sia un ritorno?? Se non hai i soldi, non lo fare…Infatti guarda tutte le etichette italiane, o hanno
la band che esce per caso vd Lo Stato Sociale, vd I Cani, e quindi vanno avanti per un annetto,
oppure fanno progetti che non hanno effettivamente potenziale futuribile, vd L’orso. Niente contro
queste band dal punto di vista personale, sia chiaro, ne sto dicendo che noi siamo meglio di loro, sto
semplicemente dicendo che un progetto è un progetto e discorsi di futuribilità, successo, ecc vanno
affrontati. Per questo prima dicevo ben vengano I Ministri, perchè loro hanno le palle ma anche
Marta Sui Tubi.
Comunque, dicevo, il risultato è: falliscono, non hanno soldi da investire, e il discorso sarebbe
molto più lungo di così e mi rendo conto che qualcuno da queste parole potrebbe storcere il naso,
non è mia intenzione dire cagate, è solo una questione tra le tante questioni della grande macchina.
Quindi ce la prendiamo nel culo in tanti e come ho già detto in altre interviste se lo vuoi fare, lo fai
e ci metti l’anima, se no è meglio che rinunci, la musica non è uno scherzo.

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