Intervista a Lucrezio de Seta

“Lucrezio de Seta, batterista straordinario, la prima volta che l’ho visto dal vivo è stato alla Lunga Notte della Batteria, dal quel momento ho cominciato a seguirlo su Instagram, Facebook… insomma, il classico stalking che si fa con i musicisti! Poi è passato parecchio tempo prima che trovassi il coraggio di chiedergli un’intervista e ricevere un sì come risposta. Artista di spessore, alla mano, intelligente e con un grande senso dell’umorismo, ironico, dotato di grande pazienza, l’intervista è andata bene grazie soprattutto alla sua volontà di collaborare e di rendermi le cose facili, di considerarmi alla pari nonostante l’abisso artistico che ci separa”

 

 

Avevi 12 anni quando hai iniziato a suonare la batteria, tra tutti gli strumenti perché proprio la batteria? Volevi fare il batterista o all’epoca era una semplice passione che si è poi trasformata in un mestiere?

In realtà a 12 anni ho iniziato a suonare il divano buono di casa, che per diverso tempo è stato l’unico strumento che avevo a disposizione oltre alle due bacchette autocostruite da mio fratello Valerio, che all’epoca ebbe un breve flirt con l’idea di fare il batterista utilizzando però, al contrario mio, i fustini del Dixan. Per rispondere però alla domanda, no… nessuna aspirazione professionale, ma solo motivazioni artistiche e di giovanile attivismo per le sorti del mondo…

Attivismo punk? Musica per il sociale?

Ovvio, le mie prime passioni sono state in ordine cronologico di infatuazione: Ac/Dc, Van Halen, P.I.L., The Clash, The Police, Primus …. E ovviamente il sogno nel cassetto era formare una band con la cui musica cambiare il mondo!

Le dimensioni non contano, l’importante è saperlo usare, ma parliamo delle vostre misure: cassa, rullante e bacchette? E perché?

Non ho misure preferite, dipende dalla musica, dall’ambiente in cui vado a suonare, dal mio mood del momento e, a volte, anche dallo spazio che hai a disposizione per montare lo strumento. Ho sempre invidiato quei batteristi, il cui più illustre rappresentante è Steve Gadd, che se ne fregano delle condizioni e usano sempre e solo IL LORO STRUMENTO senza modificare neanche un tirante… poi, a dirla tutta, ultimamente mi diverto a generare dei “paradossi timbrici” ed estetici, ossia registro dischi pop con un set BeBop con tanto di cassa tiratissima e risonante e piatti super leggeri, o mi presento ad una Gig in Trio in un Jazz Club con la cassa da 24, Tom 13 e Timpano 18. Diciamo che non mi “annoio” facilmente, per cui un modo per mantenere viva la creatività è mettermi in una posizione “scomoda”, if you get what I mean…

In condizioni ideali, set essenziale o meglio avere di tutto di più? Cosa ritieni essenziale per suonare al meglio?

Poco, ma buono, Basta un piatto, un rullante, una cassa e (se proprio non se ne può fare a meno) un tom e puoi sollevarci il mondo

Il tuo rapporto con i social, limiti e possibilità di questi strumenti?

E’ stato detto così tanto sull’argomento che rischierei di dire solo banalità. Sono uno strumento. Se vuoi usarlo lo usi, se no, no. La vita va avanti anche senza.

La prima volta che ti ho visto dal vivo (con mio colpevolissimo ritardo) è stato durante “La lunga notte della batteria”, nel 2017. Quello che ho notato è stata l’eleganza di esecuzione, uno standing molto particolare sullo strumento.

La pulizia del proprio suono viene secondo me dalla pulizia dei movimenti e, non so perché, ma mi sono sempre piaciuto più nella versione “composta” che in quella “animalesca e istintiva, gusto che mi accorgo di applicare anche agli altri musicisti quando li osservo suonare. E’ bello sentire un vulcano che ribolle che però fuori è solido e ben piazzato per terra

Vai ai concerti degli altri o ti rimane tempo solo per fare i tuoi? Quale concerto hai visto nell’ultimo periodo?

Oltre alla scarsità di tempo libero per il lavoro inizio a fare i conti anche con la stanchezza. Si continua a proporre anche in giorni infrasettimanali concerti che non iniziano prima delle 22.00, e quando ti svegli ogni mattina alle 6.00 per accompagnare i tuoi figli a scuola, magari dopo aver suonato fino a tardi la sera prima, passi una giornata fra studio di registrazione e lezioni, arrivi alle 21.00 che sei pronto per la tumulazione con tanto di messa serale… E vivendo a Roma, muoversi la sera è veramente un problema. Insomma, nonostante tutti questi elementi scoraggianti cerco di andare a cedere colleghi o musicisti di passaggio quanto più posso. L’ultimo concerto che ho visto da spettatore è stato un incredibile Enrico Pieranunzi all’AlexanderPlatz. Un vero gigante… ma quando posso vado anche a farmi qualche jam per incontrare vecchi e nuovi amici. Vivere la musica dal vivo è fondamentale e ultimamente noi musicisti siamo i primi a defilarci.

Mille impegni con la musica e con la vita e… aggiungiamo anche le interviste: lo consideri più un dovere promozionale o una possibilità di espressione per arrivare al pubblico?

Ho scelto di fare nella vita un’attività che non può prescindere dal contatto con il pubblico, quindi per me non c’è separazione fra quello che faccio e il concetto di promozione. Preferisco di gran lunga far parlare la mia musica, e non dover parlare di me (terribile), ma tutte le possibilità di divulgazione sono sempre benaccette e, come in questo caso, anche divertenti.

Ora ti propongo un test che nessun batterista jazz riesce a superare: tempo 4/4, piatto sull’uno ogni 4 battute, tutto dritto per due minuti… ok, quanti secondi sei riuscito a resistere prima di infilare colpi di cassa, piatti, fill e ogni sorta di diavoleria storta e complicata?

Accetto la sfida… ma sto barando perché avendo suonato pop per decenni, è qualcosa che mi piace tantissimo, soprattutto quando è richiesto dalla musica. Il bello è saper apprezzare la bellezza della semplicità tanto quanto il fascino del rischio e della sperimentazione.

Dove possiamo vederti live prossimamente? Date solo in Italia o anche all’estero?

Cito il 31 marzo all’AlexanderPlatz con i Cielo Reves, una interessantissima formazione di cantautorato di grande qualità, poi ogni primo giovedì alla Casa del Jazz per gli incontri “Around Miles” in cui si parlerà e suonerà il genio di Saint Louis e il 27 aprile con il mio Trio. Contemporaneamente sto organizzando un mini tour con il mio Trio Americano assieme a Jay Oliver al piano e William Lenihan al basso e chitarra con cui abbiamo registrato proprio a Saint Louis lo scorso gennaio un disco che uscirà a breve e di cui siamo onorati della presenza di John Patitucci e Michael Rosen. Poi sono in divenire date con Lorenzo Feliciati e Alessandro Gwis. Poi… e ancora… e poi pure…

Sì, ma… Milano? Così ti vedo anche io

Questa tua richiesta mi permette di dire due parole su un annoso problema che soffriamo un po’ tutti, ossia la quasi totale assenza di network sul piano nazionale. Negli ultimi 10 anni, a causa di tanti fattori, fra cui sicuramente la crisi economica e la progressiva “analfabetizzazione” artistica del nostro Paese, che hanno portato i live club a restringere la programmazione alle sole formazioni locali, in alcuni casi con la dichiarata indisponibilità a far suonare musicisti da fuori regione, se non Stelle di indubbia e comprovata fama internazionale. Per questo motivo, dovendo fare tutto da solo, avendo disastrosamente provato più volte ad affidarmi a degli agenti per il Booking, mi è più facile organizzare dei tour all’estero che fissare una sola data fuori dall’area laziale, dove vivo. Inoltre i budget medi che un Jazz Club può permettersi raramente bastano a pagare il cachet dei musicisti, le spese di trasporto, l’alloggio e il vitto di una band sta in giro per concerti… insomma, se non cambia qualcosa nella mentalità dei consumatori di musica, la vedo difficile che cambierà per grazia ricevuta. Quello che lo Stato dovrebbe fare è portare la musica e l’arte nelle scuole, e non solo sotto forma d storia dell’arte, ma come vere e proprie rappresentazioni, performance e incontri con gli artisti. Così facendo, probabilmente fra una quindicina di anni inizieremo ad avere nuovi consumatori di arte, appassionati e consapevoli. Noi invece apriamo nuove cattedre in Conservatorio per dare una sorta di pensione di invalidità ai musicisti che non lavorano più e, al contempo, produciamo nuove generazioni di musicisti che non avranno null’altro sbocco sul mercato del lavoro, se non quello di diventare a loro volta insegnanti di musica. Un cortocircuito che va spezzato al più presto.

Questo fatto colpisce praticamente tutti i musicisti che non hanno portata mainstream, la situazione è preoccupante per tantissimi giovani sempre più lontani dalla cultura e da ogni forma artistica, ma ci sono speranze, dei giovani che vanno a prendersi il palco, tra questi una piccola bomba di batterista, Edoardo de I Secoli Morti. Hai già sentito o visto qualcosa di questo scricciolo di 10 anni?

No, ma mi aggiornerò. Sai, non credo che manchino i talenti, ma piuttosto chi i talenti li sa apprezzare ed è disposto a popolare i luoghi della musica giustificando un contributo economico, come del resto fanno tutti per qualunque altra cosa di cui vogliano usufruire. E’ qui che sta il cortocircuito. Senza fare l’esterofilo, ma fuori dai nostri confini le persone sono ancora curiose e attivamente partecipi alle attività culturali dei loro circondari. Anche il paese più piccolo ha un teatro o una sala concerti alle cui stagioni sono abbonati molti cittadini di tutte le estrazioni sociali e culturali. Qui… insomma… cambiamo argomento, va…

Da chi è composto il tuo pubblico? Giovani? Musicisti? Adulti? Chi sembra essere il più recettivo alla tua musica?

In Italia, facendo prevalentemente musica “non pop”, vedo sempre spettatori dai 30 in su, gran parte “civili”, e qualche musicista da cui spesso ricevo ottimi spunti di critica costruttiva. All’estero invece c’è di tutto. Dallo studente universitario al pensionato, passando per tutte le figure intermedie, e sempre molto attenti e consapevoli della loro funzione di “destinatari” di un messaggio fatto di suggestioni e voglia di confronto. Diciamo che è più raro fuori trovarsi di fronte a Jazz Club in cui il pubblico fa più rumore della band che sta suonando. I più in là con l’età sembrano i più recettivi in ogni caso. Sarà che noi “pre digital era” la musica è stata in età giovanile un mezzo di straordinaria forza e potenzialità per l’identificazione e definizione della propria personalità e, a volte, anche ideologia. Per i più giovani la musica ha oggi una funzione del tutto diversa, marginale e senza troppi messaggi subliminali. E’ più una sorta di colonna sonora, anzi… un sottofondo onnipresente della propria giornata, che c’è, ma non ti impegna mai troppo nell’ascolto. Il tutto ovviamente grazie anche al progresso tecnologico che permette oggi a chiunque di avere musica pressoché gratuita 24 ore su 24 (non riesco proprio a scrivere h 24).

Qualche tempo fa sei stato protagonista di un evento di beneficienza, musica e calcio. Raccontaci da cosa nasce e perché hai deciso di farne parte

Una delle tante iniziative della mitica Nazionale Italiana Jazzisti! Ne faccio parte da un paio di anni, pur non avendo mai seguito il calcio in vita mia, se non consideriamo i mondiali dell’80 con Pertini in tribuna! E’ una Onlus di cui fanno parte ovviamente musicisti, ma anche giornalisti, fotografi, promoter e chiunque abbia una relazione e interesse con il jazz e con le attività benefiche. Il format è semplice, identifichiamo di volta in volta delle situazioni o delle organizzazioni che hanno bisogno di una mano e poi organizziamo una partita di beneficienza con annesso concerto. Il tutto con lo scopo di attirare donazioni da parte del pubblico che ci viene a vedere e sentire. Sino ad oggi sono stati raccolti circa 80 mila euro, tutti devoluti in favore di varie associazioni, fra cui anche quella per la costruzione della ‘casa della musica’ di Amatrice. Questa estate abbiamo fatto anche una bella serata a Roma per aiutare un nostro collega in difficoltà. E’ stato molto emozionante. Eravamo circa una trentina di musicisti tra cui gli amici Javier Girotto, Fabrizio Bosso, Massimo Bottini, Natalio Mangalavite, Marco Siniscalco, tanto per fare qualche nome, più anche un’orchestra popolare venezuelana di ragazzi…. Una serata fantastica! In più la Nazionale Italiana Jazzisti è anche un bel modo di mantenere una frequentazione con l’ambiente facendo al contempo sport all’aria aperta, visto che ci vediamo due volte alla settimana per gli allenamenti e le partite.

Mi stai dicendo che quando giocate a calcio non siete veri jazzisti? Vi allenate? Avete degli schemi? Pensavo che usaste la classica tecnica jazz di improvvisare tutto per mandare fuori tempo compagni e avversari

Il problema è proprio quello… controllare l’istinto di improvvisare sempre e comunque, il che nel calcio non funziona granché

Vai ai concerti, fai concerti, giochi a calcio per la Nazionale Italiana Jazzisti e dai lezioni di batteria. Senza considerare la tua capacità di moltiplicare il tempo che hai a disposizione… chi sono i tuoi allievi? Giovani, vecchi, futuri talenti della batteria, semplici appassionati? Cosa ti piace dell’insegnamento?

Diciamo che con il poco tempo a disposizione, posso dedicare un tempo molto limitato all’insegnamento, ma rimane una passione della mia vita che non ho intenzione di mollare per nessun motivo. Gli allievi di cui mi ‘prendo cura’ hanno età, caratteristiche e capacità molto variabili, ma quello che li unisce è che sono tutti estremamente seri e motivati. Quando costruisco su di ognuno il ‘piano di studi’ sulla base delle loro capacità, età e aspettative personali, discuto con ognuno delle mie impressioni e su cosa penso si debba lavorare. Quando più iniziano a studiare, spesso i primi mesi sono piuttosto pesanti, dato che insisto molto sulla propedeuticità degli argomenti, ossia, non si va avanti se non si è digeriti opportunamente gli argomenti precedenti… il che per qualcuno è insopportabile, ma è un banco di prova. Se resisti le prime 6/8 lezioni poi capisci, come se ‘spezzassi il fiato’ quando inizi a correre, e da là in poi rischi pure che, come è successo a me tanto tempo fa, lo studio ti diventa un divertimento e non più un peso.

I tuoi figli suonano o suoneranno? Sarai tu il loro insegnante o cercherai di stare lontano per lasciare libertà?

Quando sento o leggo quei colleghi che raccontano di come i loro genitori li abbiano aiutati, chi dando supporto morale, chi pagandogli le lezioni private, o perché figli d’arte, provo sempre un pizzico d’invidia. La mia famiglia non ha mai avuto nulla a che fare con la musica (che in alcuni casi era ‘quel rumore che dà fastidio durante i programmi tv), motivo per cui la mia passione non è mai stata neanche lontanamente presa in considerazione come possibile opportunità professionale. La mia prima batteria l’ho comprata dopo aver lavorato una intera estate in un punto di ristoro dei musei vaticani, e quando l’ho portata a casa, scoppiò un caso… questo per dire che i miei volevano e spingevano perché diventassi uno stimato professionista, ma in uno dei campi riconosciuti del mondo del lavoro, ossia, la giurisprudenza, l’economia, al limite l’ambito scientifico… ma quello musicale non faceva parte della loro percezione di quello che per loro era un ‘lavoro’. E in fondo avevano ragione. Il nostro è un misto di divertimento, missione, egocentrismo e, per ultimo, lavoro. Quindi la mia storia è quella di un ragazzino che si è incaponito per dimostrare ai propri genitori che si sbagliavano. Chissà se non fossi stato ostacolato che cosa sarebbe successo… comunque, vista la mia indole, non ho intenzione di forzare i miei figli in nessuna direzione. Saranno loro a dirmi e a chiedermi se e cosa prendere dalla musica, proprio perché i tentativi di costrizione dei miei mi hanno portato ad andare esattamente nella direzione contraria a quella che desideravano e, per di più, non ho alcun interesse a che loro diventino musicisti professionisti. E’ la loro vita e saranno loro a disegnarla. Il nostro compito di genitori sarà solo quello di dargli gli strumenti intellettuali per essere capaci di discernere il bene dal male e, di conseguenza, di scegliere quale direzione prendere quando si troveranno davanti al bivio… altro che scale e paradiddles…

Quando ti trovi in un gruppo di persone con lavori “normali”, non artistici, che sensazioni hai? Ti senti accettato? Giudicato? Cosa vuol dire essere un batterista oggi? C’è più rispetto perché sei jazzista o rimani comunque un picchiatore di tamburi? Senti sorpresa, ammirazione o diffidenza nei tuoi interlocutori? Perché credo che i sogni e i pregiudizi dei tuoi genitori non siano un caso isolato nemmeno in tempi più moderni

Non è mai stata una mia preoccupazione, né un mio vanto. Ognuno fa quello che sa fare. Io ho la fortuna di campare facendo quello che altri devono permettersi lavorando tutta la settimana per poi chiudersi con gli amici in cantina nel weekend… l’importante quando qualcuno ti chiede cosa fai e non fa parte del tuo mondo è fargli credere che tu sia il più importante e richiesto batterista del mondo. Basta fare come facciamo tutti i giorni con chiunque incontriamo…

E se non ci fosse stata la batteria e la musica? Che professione avresti scelto?

Il Dalai Lama, senza ombra di dubbio.

E’ un modo carino per dirmi di chiudere l’intervista? Ahahahah, stavo per arrivarci, giuro! Allora, ti ho fatto un po’ di domande per cercare di conoscerti meglio, ma quale domanda avresti voluto sentire e che risposta mi avresti voluto dare per dire a tutti chi è Lucrezio De Seta?

Lucrezio de Seta, con la ‘d’ minuscola!

 

A cura di: Valentina Ferrari 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *