Live Report C.Travaglioli

Live report
Big Clang Bang, Bill Laswell e Cristiano Travaglioli
@ Teatro Manzoni
Bologna,
27/03/2012

La serata di apertura punta tutto sul tema di quest’anno,"La Fine del Mondo (and i feel fine)"; la catastrofe nel cinema, ma anche come implicazione “green” ambientale delle nuove tecnologie.
Non poteva essere altrimenti nell’edizione 2012, ma il risultato è più che spettacolare! Sul palco del Teatro Manzoni, in pieno centro storico, tra le vie più importanti e i palazzi d’epoca, il celebre bassista e produttore discografico Bill Laswell ci propone dal vivo la sonorizzazione di un montaggio cinematografico realizzato ad-hoc da Cristiano Travaglioli, montatore dei film di Paolo Sorrentino, con l’intento di “trasformare spezzoni tratti da circa 60 film in un’opera nuova”. Un concerto/performance, dunque, davvero suggestivo. Big Clang Bang è uno spettacolo non facile da metabolizzare per i più; si configura come una suddivisione in fasi dei molti risvolti apocalittici che hanno caratterizzato la nostra vita di spettatori negli anni davanti a schermi più o meno grandi, articolandosi in un crescendo che fa della suggestione uno strumento potentissimo nelle mani dei due artisti. Ad accompagnarci in questo viaggio vero e proprio una colonna sonora dal fascino che turba. I contenuti sono estremamente variegati e interconnessi; si passa da una prima condizione di spaesamento, quasi un malessere subliminale, come lo sono i messaggi “obey!reproduce!consume!” nascosti sotto i cartelloni pubblicitari, svelati alla vista occhialuta del protagonista di Essi Vivono! in un mondo invaso in sordina da Alieni in borghese. La stessa sensazione impalpabile si diffonde nell’aria killer di E Venne il Giorno, costringendo chiunque a gesti di estremo auto-annullamento, così schiere di operai si gettano dai ponteggi come corpi già senza più vita prima ancora di schiantarsi al suolo. La visione catastrofica offerta da questo montaggio diventa reale, attuale, e d’altronde si è fatta sempre più viva in questi giorni l’ipotesi degli impianti di chip sottocutanei. Il plagio delle menti permea le nostre vite spingendoci a gesti insensati quando lo si realizza più o meno coscientemente, e proprio questa ricerca di coscienza e visione caratterizza la follia de L’Uomo dagli Occhi a Raggi X (pellicola del re dei B-movies Roger Corman) in cui si condensa il paradosso; quanto possa essere preferibile a conti fatti un’ignara ottusità fatta di gesti altrettanto meccanici come quelli limite di Shyamalan, e altrettanto annientanti per la natura dell’essere umano ai quali si riferisce metaforicamente la vita-non vita dei Morti Viventi di Romero.

A ben vedere ciò non dista poi molto dalla nostra quotidiana lobotomizzazione televisiva, estremizzata nelle scene topiche di Videodrome. Nelle scelte di Travaglioli si fa quindi spazio la tematica del body horror, impressa nella sublimazione finale di Altered States, la lotta dell’essere umano per rimanere tale quale alla percezione che storicamente ha di sè, in cui cerca di sfuggire alla soluzione finale di Cormaniana memoria: “La Carne è dissolta in un acido di luci”. E’ poi un po’ quello che accade, con esito opposto, in The Fountain di Aronofsky; la ricerca ascetica dettata da una condizione di invivibilità terrena porta il protagonista a comprendere questa massima e poi a opporgli un rifiuto nell’attimo in cui bere dall’albero della vita significherà trasfondere in se stesso un’energia che finirà col trasformarlo in pura natura, trasfigurandone il volto in una smorfia incredula di terrore. Anche i fiori, come il vento, diventano sintomo di catastrofe, mutazione orrorifica, disgregazione del corpo. Travaglioli ricerca quindi l’elemento di lotta e chiude con la risoluzione di inevitabili equilibri universali che riportano l’energia all’energia, al cosmo, alle stelle, come ben chiarifica il protagonista di Gattaca “Per uno che non doveva far parte di questo mondo, devo confessare che all’improvviso mi costa lasciarlo, però dicono che ogni atomo del nostro corpo, una volta, apparteneva a una stella… forse non sto partendo, forse sto tornando a casa”. Questa è una delle rare volte in cui l’audio dialogico della scena emerge dal fondale si suoni anche bruschi eseguito da Laswell, che si fa più tumultuoso nei frangenti in cui ci viene mostrato il panico sociale da attacco extraterrestre, tipizzato nelle scene di fuga per le strade de La Guerra dei Mondi, o i raggi di fuoco di Independence Day, il quale ci regala uno dei conti alla rovescia più spasmodici nel cinema degli ultimi anni. Proprio il “final countdown” è preludio di un destino ineffabile per la razza umana e animale – entrambe impazzite – al quale seguirà la condizione di solitudine dei pochi sopravvissuti, e allora quelle stesse strade invase di carta straccia e banconote inutili a volteggiare tra i marciapiedi vedrà un’auto rossa correre all’impazzata violando qualunque norma ormai decaduta. L’assenza di regole e il tentativo di rimanere aggrappati a qualcosa che non esiste più è l’elemento che costerà la vita dello scienziato impegnato nel tentativo di far rinsavire uno zombie ex-soldato, ricordandogli il saluto militare e l’uso delle armi da fuoco. La morale critica è chiara; zombie assoggettato era da vivo e zombie è da morto. La fase di costruzione di un nuovo ordine nel caos è un annaspare in scelte che non dipendono più da noi; l’uomo viene di fatto riqualificato come fonte d’energia per le macchine nella trilogia di Matrix, quando egli stesso non diventa un ibrido-macchina con sentimenti ancora umani benchè creati artificialmente (il bravissimo Haley Joel Osment di A:I, Artificial Intelligence è in questo fulgido esempio di purezza e ricerca identitaria). Tutto si muove tra piani immaginari di realtà indotta e paesaggi reali desolati, deturpati, nei quali muoversi senza meta. Così il pupazzetto animato in stop-motion “9” si risveglia tra le rovine post-apocalittiche e va alla ricerca dei suoi simili. Il contatto col simile dopo la catastrofe è lo specchio del contatto col diverso che permeava di ingenuità i primi incontri ravvicinati del terzo tipo storici per il cinema. Altra morale: sventolare bandiera bianca in caso di conquista aliena serve a poco. Travaglioli gioca col meta-cinema e inserisce intelligentemente sequenze che a tratti fanno tirare un sospiro di sollievo agli spettatori in sala, (“non ne fanno più di film così”), allentando la spirale digressiva a staffette più o meno angosciose. Mostra scenari anche grotteschi; i primati evoluti del pianeta alla rovescia ridono e si scattano foto goliardiche come chiunque di noi è solito fare in compagnia di amici. Proprio il tratto di sconvolgimento degli ordini dettato da reazioni a catena introdotto da “Il Pianeta delle Scimmie” si svilupperà nelle traduzioni grafiche del susseguirsi di eventi che partono dall’omino qualunque che perde il cappello per strada ai bombardamenti missilistici su scala planetaria. La proiezione assume connotati alla “butterfly effect” nelle nostre menti innescando una serie di collegamenti logici fluidi ben espressi nell’evoluzionismo distruttivo grafico-lisergico alla Pink Floyd, sul finire. Dopo un’ora e mezza siamo sconvolti ed esaltati, e sappiamo bene che sotto le macerie di ogni cattedrale distrutta dai raggi laser o sul fondo di un enorme cratere nucleare qualche formichina starà scavando un posto nel quale sentirsi al sicuro, nel quale continuare a vivere.
Pillola rossa o pillola blu?

a cura di Tiziana Fresi
un ringraziamento a Future Film Festival e Emanuela Belvedere

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