Live report Mudhoney

LARGO VENUE, ROMA, 22/11/2018

Ogni genere musicale ha le sue pietre miliari ed è spesso una fortuna poco comune per gli estimatori di quel genere avere la possibilità di vedere live almeno una volta nella vita i gruppi che ne fatto la storia. Questo vale anche per quel genere che rappresenta un capitolo essenziale negli annali del rock mondiale a partire dalla fine degli anni ’80-primissimi anni ‘90: il grunge.

Seattle, 1989. I Mudhoney (gruppo formatosi dagli ex membri di due band capostipiti della prima ondata più ruvida e

sgangherata di un grunge ancora in fase embrionale, i Melvins e i Green River) pubblicano il loro primo album omonimo per la allora nascente casa discografica Sub Pop (con la quale sono ancora oggi!) di Jack Endino. Il resto poi è storia. Dopo di loro, vennero i Nirvana, i Soundgarden, i Pearl Jam, nomi di punta oggi entrati nell’olimpo del rock con una risonanza molto più sconfinata rispetto ai loro predecessori Mudhoney. Ma, il primato di questi ultimi non verrà mai sconfessato da nessuno. Anzi, molti hanno imparato a conoscerli anche grazie alla passione che ha sempre mostrato di avere Kurt Cobain per la loro musica.

È con tutto questo bagaglio che si va al concerto di un gruppo come i Mudhoney. E la cosa che più colpisce appena li si vede salire sul palco è la loro immutata attitudine nonostante siano passati ormai trent’anni da quando giocavano a fare le rockstar disagiate sui palchi di Seattle. Con il nuovo album, Digital Garbage, uscito a settembre, la band celebra proprio il trentennale della loro carriera. Tra le tappe del tour promozionale, anche ben tre date in Italia: oltre Roma, anche al Locomotiv Club di Bologna e al Santeria Social Club di Milano.

Nonostante le due date di Milano e Bologna fossero andate ormai soldout da giorni, la calca al Largo Venue non era particolarmente densa, anzi! All’inizio della serata neanche metà del parterre si era riempito mentre suonava il gruppo d’apertura, i Cechi Please the Trees. Ma pian piano le loro sonorità psichedeliche, fluttuanti, ma con decisi accenni acidi, hanno richiamato la folla e il locale ha iniziato a riempirsi. Puntualità encomiabile sia per loro che per il successivo cambio palco e inizio concerto dei Mudhoney, che ci hanno regalato un’ora e mezza abbondante di carica grunge scanzonata e viscerale, come nella migliore tradizione e senza un minimo accenno di cedimento. Ah, la vecchia guardia!

La scaletta ha ripercorso alcuni dei successi più famosi della band, come “Touch Me I’m Sick, “Suck You Dry”, “Here Comes Sickness”, “Sweet Young Thing Ain’t Sweet No More”, “You Got It”, “If I Think”, alternandole con brani estratti dall’ultimo lavoro (“Paranoid Core”, “Kill Yourself Clean” “Oh Yeah” “Night and Fog” “21st Century Pharisees” e “Please Mr. Gunman”). Splendido encore con cover di alto livello, tra cui “Hate the Police” (The Dinks), “The Money Will Roll Right In” (Fang), “Fix Me” (Black Flag).

È stato bello vedere un pubblico così variegato, dai cinquantenni che abbozzano impacciati (ma coraggiosi) crowd surfing ai

ragazzini che quando i Mudhoney già erano famosi loro ancora dovevano nascere. Ma è bello così, tutti uniti a pogare sotto il palco tra mosh, spintoni, e mezze capriole per aria, senza distinzioni d’età e acciacchi fisici vari ed eventuali.

La cosa che più colpisce, però, come già detto, è vedere loro esibirsi sul palco e constatare che essere musicisti non è un mestiere per tutti. Ci vuole anche un certo pizzico di coraggio per fare musica come la si faceva da ventenni mantenendo la stessa portata rivoluzionaria di allora e non scadendo mai nel ridicolo. Le t-shirt sono quelle sdrucite dei tempi andati, le birre in mano sempre presenti e i loro look pressoché invariati (con qualche chilo in più e qualche capello in meno, ma non è quello a contare). Eterni ragazzi diventati adulti, con lo spirito di chi ha fatto della coerenza la propria religione, senza mai strafare, senza mai perdere quella scintilla che oggi, a trent’anni di distanza, te li fa vedere lì sul palco, immaginandoteli in un tempo remoto, mentre sogni Seattle.

 

A cura di: Francesca Mastracci

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