Rival Sons – Feral Roots

“Un incubo al whisky pieno di serpenti”: così definiscono il loro nuovo disco i Rival Sons, band americana che si è fatta conoscere nel corso degli anni per l’appeal rock’n’roll/electric-blues smaccatamente settantiano che rievoca in maniera anche abbastanza esplicita i Led Zeppelin, senza troppi giri di parole.

Il fatto che ultimamente sia esplosa in maniera più massiccia che in altri periodi storici la mania revival nei confronti di determinate sonorità è un dato di fatto anche evidente (vedere ad esempio il fenomeno Greta Van Fleet). Ma quello che di diverso hanno i Rival Sons rispetto a molti altri è certamente un approccio musicale che, sebben radicato profondamente nella vecchia scuola dell’hard rock del secolo scorso, il modo in cui se ne sono appropriati ha fatto sì che questo stile già usato ed abusato diventasse una loro propria marca di fabbrica .

Incendiario, viscerale, ruvido, corposo ed adrenalico: il sesto album in studio, dall’inequivocabile titolo Feral Roots(radici feroci), ci reintroduce immediatamente al mood al quale ci avevano abituati, ma presenta un valore aggiunto non indifferente; tutto risulta essere impacchettato, infatti, con un rigore compositivo inedito per la band, curato in ogni dettaglio. E non sorprende sapere che l’album è prodotto dalla casa discografica Atlantic Records, una vera istituzione nel campo, con la collaborazione e della Low Country Sound, nuova etichetta di quel portento di Dave Cobb; forti anche dell’esperienza come supportersnel tour di commiato dei Black Sabbath (che indubbiamente li ha esposti ad un successo mediatico che non avevano conosciuto prima).

Il disco si apre con il riff prepotente e un groove febbricitante nell’anthemica “Do Your Worst” per poi dipanarsi verso soluzioni e sperimentazioni originali che incastrano vari generi ed influenze. Si passa dal ritmo avvolgente hard rock stra-classico dalle chitarre inondate di fuzz e una batteria infervorita più che mai protagonista in “Sugar On the Bone”, arrivando a compiere un lavoro interessante di drum machine operato in “End of Forever”, con riff pesanti come macigni. Sulla stessa linea hard rock anche “Too Bad”, pezzo che però sgomitando tra venature doom in continuo crescendo, si adagia su sonorità blueseggianti, introducendo il rock’n’soul di “Stood By Me”. Troviamo anche l’andirivieni tra il folk movimentato di “Look Away” e l’essenzialismo acustico da ballad nella titletrack, “Feral Roots”. Stupenda la chiusa con la preghiera gospel “Shooting Stars”.

Un’ultima menzione, anche, alla voce di Jay, ammirevole nella sua bravura ad accendersi e diffondersi, graffiando per poi leccare le ferite.

Un buon lavoro. Certamente molto diverso e più patinato rispetto ai dischi precedenti. Ma con una coerenza compositiva che ormai è andata oltre “l’operazione nostalgia” e si è fatta “missione personale”.

 

Tracklist:

  1. Do Your Worst
  2. Sugar On The Bone
  3. Back In The Woods
  4. Look Away
  5. Feral Roots
  6. Too Bad
  7. Stood By Me
  8. Imperial Joy
  9. All Directions
  10. End Of Forever
  11. Shooting Stars

 

A cura di: Francesca Mastracci

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *