Slipknot – We Are Not Your Kind

Ogni release che si rispetti che arriva a distanza di molti anni dall’album precedente si carica sempre di un ampio bagaglio di aspettative, soprattutto se gli ultimi lavori di una discografia partita con punte altissime si sono rivelati dei veri e propri tracolli difficili da digerire da parte della schiera di fan veterani, ma anche di quelli dell’ultima ora.

Ma entriamo nello specifico. La band in questione è una di quelle pietre miliari che non hanno bisogno di troppe presentazioni: gli Slipknot. La band di Des Moines ha fatto il proprio ritorno, irruento ed in gran stile come d’abitudine, a cinque anni di distanza da 5: The Gray Chapter, che resta tuttavia, probabilmente, il disco meno convincente di tutta la loro produzione. We Are Not Your Kind, uscito lo scorso agosto per Roadrunner, arriva dunque caricandosi di un desiderio di rivalsa non indifferente, misto al bisogno di sapersi reinventare restando fedeli alla loro identità che li vuole appunto non conformi a tutti gli altri (come ci tengono a ribadire nel titolo). L’ultimo periodo li ha visti far fronte a tutta una serie di vicissitudini particolarmente nefaste che si sono anellate una dopo l’altra a partire dalla prematura scomparsa del bassista cofondatore della band Paul Gray (a cui è dedicato appunto il disco del 2014), passando per una serie di cambi nella line-up, fino a giungere qualche mese fa alla brusca rottura per nulla amichevole con lo storico batterista Chris Fehn. Nel mezzo anche la scomparsa della bimba di Crahan e la morte di un fan durante un loro concerto. Situazione pesissima, insomma, per la band dell’Illinois che si è trovata a dover rimettere in discussione tanti capisaldi nel corso degli ultimi anni, senza dimenticare la progressiva morte del Nu Metal dal mercato discografico.

Avversità difficili da superare, dalle quali si esce o completamente distrutti o completamente rinnovati. E il cambio di maschera dopo tanti anni (già criticato ampiamente dai fan di vecchia data) è la testimonianza di quale direzione i Nodi Scorsoi del metal abbiano voluto intraprendere. Lo avevano già annunciato qualche mese fa con “All Out Life” (singolo uscito inaspettatamente lo scorso ottobre ma non incluso nel disco) e ci pensano ora con la loro sesta fatica a riallacciare tutti i nodi che si erano sciolti.

Dal punto di vista stilistico We Are Not Your Kindriprende l’impostazione elettronica che avevano già avuto modo di esplorare nel disco precedente, ma lo fanno infossando ancora di più le radici nel groove metal delle origini, non disdegnando incursioni death (come ad esempio in uno dei capitoli più oltranzisti, “Critical Darling”)e concedendosi volentieri, come loro solito, a momenti alt che si aprono in distensioni melodiche da ballad (“A Liar’s Funeral” e “Solway Firth”) per dirigersi stavolta verso lidi ancora più inaspettatamente immersi nelle lande dei territori radiofonici (come “Spiders”, che sembra quasi un pezzo estratto da uno dei lavori degli Stone Sour, band parallela di Corey Taylor, o ancor di più la nenia dal spaore di ninna nanna “My Pain”).

Questo dualismo tra rabbia brutale e distensione melodica è sempre stato una caratteristica che ha reso il loro sound riconoscibile, nonostante le basse cadute degli ultimi lavori, e anche in questo caso ritroviamo il continuo andirivieni tra punte acuminate fatte di riff granitici e drumming prepotenti con doppio rullante e aperture melodiche che, invece, conferiscono un carattere nostalgico ed emozionale. Nell’anticipare il disco la band lo aveva definito una sorta di Iowa 2.0 ed è proprio ad Iowa(loro disco del 2001, tra i più osannati nella storia del genere) che si rivolgono  per recuperare certi passaggi che avevano infervorato i loro primi dischi, basti pensare a pezzi come “Red Flag” con le parti simil-rappate e l’urlo deflagrante iniziale

L’alto spessore della loro riconoscibilità, inutile negarlo, è dato anche dall’ottima capacità di Corey Taylor nel modellare la propria voce sguazzando senza difficoltà tra growl, harsh e clean, con un timbro che resta sempre e comunque potente su ogni traccia.

L’uso degli interludi tra i pezzi rende il lavoro ancora più composito, permettendo di concedere all’ascolto momenti di pausa (o preparando a momenti di esplosione come nel caso dell’opener “Insert Coin”) e rendendolo più fruibile nella sua variegata composizione e ampia durata.

Infine, un disco claustrofobico ma al tempo stesso alienante, prepotente ma rifinito, antico quanto più che mai presente. Il lavoro della loro maturità artistica, nutrito della linfa del passato ma con lo sguardo protratto verso il futuro. Mai ripetitivo o ridondante, ma consapevole ed identificativo della loro nuova identità.  E, allora, se We Are Not Your Kinddoveva esse un Iowa 2.0, allora bentornati Slipknot 2.0! Non deludeteci mai più.

 

Tracklist:

1.Insert Coin

2.Unsainted

3.Birth of the Cruel

4.Death Because of Death

5.Nero Forte

6.Critical Darling

7.A Liar’s Funeral

8.Red Flag

9.What’s Next

10.Spiders

11.Orphan

12.My Pain

13.Not Long for This World

14.Solway Firth

 

A cura di: Francesca Mastracci

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