UNDEROATH – VOYEURIST

UNDEROATH
VOYEURIST

Un estroso gioco di rimandi su partiture ritmiche angolari, che si snodano, quasi estranianti, tra proiezioni sintetiche e manierismi metalcore rivistati in chiave post. Visionario ma al tempo stesso molto avveduto. Questo è Voyerist, ultimo disco in studio di una band che da quasi venticinque anni campeggia indiscussa sulle vette dell’olimpo screamo/metal/post-hardcore: gli Underoath.
Uscito lo scorso 14 gennaio per Fearless Records, il disco (nono della loro discografia) arriva a 4 anni di distanza dall’ultimo, Erase Me, che non aveva molto convito i fan di vecchia data poiché ritenuto troppo ammiccante a livello commerciale. Vero, la band di Tampa (Florida) si era lasciata andare, calcando un po’ troppo sul tasto della melodia a scapito della pesantezza. Pertanto, si erano create attorno a questa nuova uscita molte aspettative, alimentate anche dai singoli che la band aveva estratto per anticipare il disco nei mesi passati.
Ci aveva già pensato “Damn Excuses” prima dell’estate a riallacciare i legami con gli antichi fasti del passato, tanto da sembrare quasi un b-side tratto da Ø (Disambiguation) – come anche sarà “We’re All Gonna Die” – con i riff granitici, le distorsioni angolari e il timbro inconfondibile nel growl compatto ed imperioso di Spencer Chamberlain.
“Halleluja” aveva invece intavolato alcune delle sperimentazioni che si ritroveranno frequentemente nel corso del disco (come in “I’m Pretty Sure I’m Out Of Luck And Have No Friend” e “Numb”) sia nei riverberi sintetici che nei muri sonori ipnotici ed invalicabili, ma parallelamente anche nella tendenza a ricorrere ad un formulario di ripetizioni/sovrapposizioni di hook nei cori che si incastrano (ed entrano martellanti nel cervello). Questa ridondanza ha, nel conteso tematico generale dell’album, una sua funzionalità espressiva: sottolinea la centralità tematica di Voyerist in quanto esercizio di riflessività sul modo in cui dirigere lo sguardo all’interno di se stessi piuttosto che in alto, come predicato al contrario dai dogmatismi religiosi, da cui in passato la stessa band stessa si era lasciata attrarre.

Ma il pezzo che ci aveva in assoluto maggiormente spiazzati prima dell’uscita del disco (e anche dopo, a gusto personale) era stato “Pneumonia”, sapientemente posto in conclusione della tracklist. Sette minuti di fusioni estatiche dalle tinte post-metal con vaghe incursioni drone e la voce tenue e rassicurante di Aaron Gillespie che si insinua tra gli andirivieni di evocatività e spigolosità, distensione e compressione. Fino ad esplodere sul finale in un climax che ci porta, parafrasando il testo, alla deriva dell’oscurità più luminosa, come se non avessimo più un peso, fuori dalla vita, senza fine e senza ritorno (“As I drift to the brightest black. Weightless, lifeless, endless, no way back.”)
Tra gli altri pezzi degni di nota del lotto, va certamente fatta menzione di “Thorn”, molto ammiccante nei confronti del radio-friendly, ma anche estremamente convincente. Poi c’è “Cycle” con il feat di Ghostemane, che quasi pare voglia spingersi verso derive trap metal.
Azzeccato anche lo stacco a metà tracklist di “(No Oasis)”, un vero momento di interruzione sussurrata che però ha un effetto disturbante con i rumori in sottofondo e le risate isteriche sul finale.
Infine, un prodotto molto consapevole e maturo che si fa carico dell’esperienza e delle varie sedimentazioni sonore stratificatesi negli Underoath nel corso degli anni. Avvincente, completo, sperimentale, dai tratti violentemente ben definiti (Chamberlain ha definito il genere dell’album come “hi-def violence”). E non saranno forse gli Underoath di They’re Only Chasing Safety o di Ø (Disambiguation), ok, ma suonano esattamente come un gruppo che da quei dischi è partito, senza restarci incollato. La scelta di sviluppare nuove evoluzioni sonore, anziché fossilizzarsi su trite scelte stilistiche che ad oggi risulterebbero forzate, li porta ad inserirsi in maniera coerente e calibrata in un contesto musicale alterato ma che pur non tradisce mai la loro identità espressiva.

TRACKLIST:
1. Damn Excuses
2. Hallelujah
3. I’m Pretty Sure I’m Out Of Luck And Have No Friends
4. Cycle
5. Thorn
6. (No Oasis)
7. Take A Breath
8. We’re All Gonna Die
9. Numb
10. Pneumonia

VOTO: 8,5
A cura di: Francesca Mastracci

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