VIAGRA BOYS – CAVE WORLD

VIAGRA BOYS 

CAVE WORLD

recensione a cura di: Francesca Mastracci

Un viaggio dissociativo nei meandri cavernosi di un’involuzione che ci porta ad esplorare un trogloditismo cibernetico ormai sempre meno irreale. Questo è Cave World, terzo lavoro sulla lunga distanza della band svedese che ha reinterpretato il  post-punk della nuova ondata usando un loro particolarissimo e riconoscibilissimo linguaggio, forbito di inflessioni jazzistiche e un tutto loro piglio scanzonato. I Viagra Boys si confermano, con questo disco, una delle realtà più interessanti ed originali germinate in seno a questo genere, che si potrebbe quasi avere l’ardire di chiamare soul post-punk.

Si tratta, comunque, di un disco che riprende le redini dei due precedenti, indugiando però in misura minore sui momenti di distensione sperimentale che avevano costellato Welfare Jazz (2021), per ricavalcare, invece, il taglio viscerale e punkeggiante di  Street Worms  (2019). Il risultato sono dodici tracce di totale compattezza sonora che richiedono anche una certa attenzione all’ascolto. Non è, insomma, un disco di cui ci si innamora immediatamente appena si preme play; si ha a primo acchito l’impressione di aver ascoltato già molte delle soluzioni sonore triggheranti che si rincorrono per tutta la loro discografia fino ad esaurire il potenziale di sorpresa. Impressione probabilmente comprovata anche dal continuo richiamo tematico che fa perno sulla denuncia dissacrante nei confronti dell’atteggiamento autolesionista della società contemporanea, sempre più fondata sulla performatività tossica di modelli comportamentali che mirano all’annientamento della coscienza individuale a favore dell’isteria collettiva da social e dei dictat dei troll digitali.

E così anche Cave World è un intricato groviglio di teorie cospirazioniste secondo cui un uso proficuo di ketamina  provocherebbe un distacco completo dalle attività celebrali e conseguentemente dalla realtà (il titolo stesso del disco è un riferimento assonante con tali congetture che si definiscono K-Hole), il tutto infarcito dalle spicce considerazioni sul vaccino e il 5g (“don’t take that vaccine man, they’ll turn you into a computer” cantano in “Return To Monke”). Tale è il trogloditismo virtuale contro cui si scaglia la voce sardonica ed inveente di Sebastian Murphy e pare che l’unico spiraglio di salvezza che il sestetto proponga sia appunto soccombervi.

Musicalmente ritroviamo le sfrecciate chitarristiche, le linee di basso vorticose, le ritmiche ficcanti, ma anche e soprattutto quel piglio funk che li ha sempre contraddistinti e che in quest’occasione ammicca volentieri all’elettronica. Ci sono infatti tre intermezzi elettronici (“Cave Hole”,  “Globe Earth” e “Human Error”) che creano dei punti di rottura con il resto della tracklist, ma che servono per scandire con i loro suoni sintetici super minimali l’incedere progressivo verso la caverna.

Una satira post-punk che procede per contrasti antitetici tra funk acido, compatto, ruvido e profondamente soul. Tra irriverenza ed eccentricità. Tra tirature urticanti e armonizzazioni dai risvolti più morbidi (come nella chicca che contiene il feat con Jason Williamson degli Sleaford Mods, “Big Boy”).

Infine, probabilmente non un disco che lascia attoniti al primo al primo ascolto ma che si fa apprezzare masticandolo, proprio come il tabacco nei film western (di cui il video di “Punk Rock Loser”).

TRACKLIST:

1. Baby Criminal
2. Cave Hole
3. Troglodyte
4. Punk Rock Loser
5. Creepy Crawlers
6. The Cognitive Trade-Off Hypothesis
7. Globe Earth
8. Ain’t No Thief
9. Big Boy
10. ADD
11. Human Error
12. Return To Monke

 

VOTO: 8

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