The Lawrence Arms – Skeleton Coast

Nella Namibia settentrionale è situata una porzione di costa che, per via del su particolare posizionamento, attira la corrente fredda dei flutti del Benguela riversandoli nell’Oceano Atlantico e creando, in questo modo, fitte coltri di nebbia che rendono le pratiche navali pressoché impraticabili in quella zona. I relitti delle imbarcazioni e dei loro componenti, oltre a quelli della fauna marina, si sono accumulati negli anni su quel litorale conferendogli appunto il nome di Skeleton Coast.

Ed è anche questo lo scenario scelto per il titolo del settimo album in studio dei The Lawrence Arms (a si ispira anche la copertina). La band originaria di Chicago, ormai più che veterana nel panorama del punk-rock americano degli anni 00, nel celebrare il ventennale della loro carriera si è concessa una gita in Texas presso i Sonic Ranch Studios per registrare il disco. E non si può certo dire che un tale cambiamento di location gli abbia fatto male, anzi.

I tempi si dilatano, gli interstizi melodici si insinuano con più frequenza tra le pieghe di mordaci riff di chitarra e doppi rullanti che battono il ritmo, rendendo la cifra stilistica della band ancora più pervasiva. In linea di massima, però, il disco, uscito a sei anni di distanza dal suo predecessore Metropole, ci re-introduce già a partire dalla traccia opener “Quiet Storm” verso le sonorità alle quali la band ci ha da sempre abituati. Le 14 tracce che lo costituiscono rappresentano, infatti, le tappe di una storia narrata con il loro solito spirito punk-rock schietto e viscerale, infuso di trionfi anthemici e di sing-along semplici ma dalla presa super diretta. Il doppio cantato di Brendan Kelly e Chris McCaughan, poi, ha ancora una volta l’effetto di dare enfasi e carisma ai pezzi, traghettando di volta in volta l’atmosfera o verso tonalità ora lievemente più cupe (“Belly of the Whale”, “Dead Man’s Coat”e “(The) Demon”) ora più lievi e ariose (“Lose Control”, “Ghostwriter”).

Infine, un disco suonato bene e che regala una piacevole mezz’ora d’ascolto, senza mai mollare la presa. Vero, niente di particolarmente memorabile, ma come del resto tutta la loro discografia! Tuttavia, se standosene in disparte e defilati, come hanno sempre fatto, sono riusciti ad arrivare (con più di vent’anni di carriera alle spalle) a mantenere intatto il loro stile senza maisnaturarsi o cedere a compromessi e sono stati in grado di realizzare un disco dal sound che ancora suona convincente, beh chapeau!

 

Tracklist:

  1. Qiet Storm
  2. PTA
  3. Belly of the Whale
  4. Dead Man’s Coast
  5. Pigeons and Spies
  6. Last, Last Words
  7. (The) Demon
  8. Ghostwriter
  9. How to Rot
  10. Under Paris
  11. Goblin Foxhunt
  12. Lose Control
  13. Dont’t Look at Me
  14. Coyote Crown

 

A cura di: Francesca Mastracci

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *