Mogwai – Kin

Come riuscire ad essere sé stessi anche quando la propria musica è al servizio di qualcos’altro da sé?!

Come far emergere il proprio io quando la richiesta esplicita è pensare brani per un prodotto terzo e non per la sola necessità di dare voce ad un’urgenza artistica personale?

Come è possibile, insomma, per una band fare di una colonna sonora un vero e proprio album, con una dignità e una individualità anche aldilà della pellicola alla quale è dedicato?

La buona notizia è che “si può fare” (dato che sfioriamo il tema, direi che la citazione è quasi doverosa), la cattiva è che per farlo devi essere i Mogwai.

La celebre band scozzese, simbolo del post-rock, sceglie infatti di tornare alla fine arte della composizione per il cinema dedicandosi alla soundtrack originale del film KIN e finisce per dare vita ad un nuovo disco, dal titolo omonimo, dalla personalità unica e propria in sé per sé.

Un’opera affascinante, in grado di racchiudere bellezza e sogno, magica nella sua capacità di raccontare e trasmettere perfettamente, anche senza l’ausilio delle immagini, l’inquietudine sottile di un’epoca di futuri distopici, proiettati su grandi e piccoli schermi, che poi così tanto distopici non sembrano mai.

KIN diventa così in tutto e per tutto l’ultimo album dei Mogwai, da un lato fedele al loro suono e al loro passato (del resto l’ultimo LP del gruppo risale solo all’anno scorso), dall’altro sorprendente per come comunque aggiunga un tassello al quadro generale del loro progetto artistico.

9 pezzi con senso e dignità ciascuno singolarmente e nello stesso tempo legati dalla sinusoide tipica della struttura del racconto, capace di descrivere un’evoluzione interna fortemente chiara e percepibile, segno di una capacità comunicativa ed espressiva non così comune in un album cui 8 tracce su 9 sono strumentali.

Eli’s theme, all’inizio, introduce e in breve tempo immerge in un’atmosfera parallela, sconosciuta quanto attraente, Donuts al centro, con l’arrivo della batteria, figura come elemento di rottura ma non fa che alimentare le sensazioni che accompagnano dal principio questa sorta di viaggio, We’re Not Done, non per niente “End Title”, con l’ingresso delle parole, ne segna, infine, la catarsi.

Fermo restando un talento compositivo fuori dal comune (anche perché diversamente forse a Hollywood non ne sarebbero stati interessati così tanto), sembra quindi che la band abbia utilizzato questo lavoro per indagare ancora di più le potenzialità narrative del suono e del prodotto “disco”, per metterne alla prova le capacità di strumento di racconto e di tensione emotiva, arrivando infine ad un risultato eccellente.

 

Tracklist:

  1. Eli’s Theme
  2. Scrap
  3. Flee
  4. Funeral Pyre
  5. Donuts
  6. Miscreants
  7. Guns Down
  8. KIN
  9. We’re Not Done (End Title)

 

A cura di: Daniela Raffaldi

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