LiveR Gods Of Metal Day 2


GODS OF METAL: VENERDì 22 GIUGNO

Line Up
Guns N’ Roses
Within Temptation
Sebastian Bach
Killswitch Engage
Black Stone Cherry
Rival Sons
Soulfly
Ugly Kid Joe
AxeWound
Cancer Bats


La seconda giornata del Gods Of Metal parte con il piede sbagliato. Oltre al caldo, più aggressivo rispetto al giorno precedente, un ritardo di circa mezz’ora sulla tabella di marcia fa slittare le prime esibizioni che vedono anche un drastico ridimensionamento dei tempi live.

I primi a farne le spese sono i canadesi Cancer Bats che rimangono sul palco quindici scarsissimi minuti, giusto il tempo di far assaggiare Bricks And Mortar, R.A.T.S e poco più, non riuscendo neppure ad instaurare un feeling con i pochi headbangers già svegli.

Un po’ meglio va ai compatrioti AxeWound, side project di Matt Tuck, frontman dei Bullet For My Valentine e di Liam Cormier, singer dei precedenti Cancer Bats. La band, formatasi proprio nel 2012, ha da poco dato alla luce il primo lavoro in studio Vultures, che presenta per la prima volta in Italia proprio sul palco del Gods Of Metal. Anche per loro il tempo è tiranno, ma qualcosa in più Matt e Liam riescono a fare, conquistando qualche applauso che riconosce alla performance il merito di aver catturato l’attenzione.

La corsa per recuperare minuti preziosi continua e, dopo un rapido cambio di palco, è il turno degli americani Ugly Kid Joe: dopo la reunion avvenuta nel 2010 arrivano anche in Italia riportando in vita classici come Neignbour, Panhandlin’ Prince e Milkman’s Son che, nonostante il caldo soffocante e la poca partecipazione di un pubblico ancora un po’ troppo addormentato, riescono a dare la giusta sferzata alla mattina imponendo un ritmo più dinamico. Pian piano i più coraggiosi iniziano ad uscire dalle zone d’ombra e ad aggirarsi nel pit ed alle transenne scuontendo la testa sulla la linea ritmica dei brani. In trenta minuti Joe, il ragazzaccio, ha fatto centro: il Gods si sta svegliando!

Sono i SoulFly a ricevere il testimone ed a portare a buon fine l’opera iniziata dai predecessori. Max Cavalera e compagni soffrono il caldo, è evidente, ma l’orgoglio e la tenacia metallarra li porta a spingere sull’acceleratore ed a richiamere sotto il palco ancora più gente, sebbene in numero rimanga risicato. Pochi ma buoni, verrebbe comunque da dire. Sì, perchè un breve ma intenso pogo si scatena sui classici di casa Sepoltura come Roots, Bloody Roots e Refuse/Resist e strappa un sorriso al poderoso frontman che incita a continuare così. C’è anche il tempo per un assaggio dell’ultima fatica Enslaved e poi dritti fino alla fine lasciata ad Angel Of Death degli Slayer che volge in Eye For An Eye. Urla e pinte alzate verso il palco mostrano l’affetto ed il consenso ottenuto forse anche grazie all’astuta mossa di Max che, in chiusura del live, sfoggia la maglia della nazionale italiana a cui augura di fare del suo meglio in questi europei.

L’hard rock in stile anni ’70 portato egregiamente in scena dai Rival Sons nell’ora più calda del giorno permette di tirare un attimo il fiato dopo l’ottima performance dei SoulFly.
Il problema del ridimensionamento del tempo per suonare, comune a tutte le band che si sono succedute fino a questo momento, si ripete anche con il quartetto californiano che però non si fa prendere dal panico e porta avanti il suo compito in maniera impeccabile. Degna di nota è sicuramente la prestazione vocale di Jay Buchanan che interpreta splandidamente brani tratti da Before The Fire e Pressure & Time regalando destreggaindosi abilmente tra cantati melodici e linee decisamente più aggressive. Anche il resto della band si dimostra all’altezza del singer dando prova del suo valore regalando un’apprezzata ventata di rock blues mentre strizza l’occhi a chi, sfidando sole e temperature proibitive, rimane sotto al palco a godersi lo show.

La carrellata di band americane continua con i Black Stone Cherry che arrivano sul palco carichi e desiderosi di ottenere il maggior numero di consensi possibli. Detto, fatto!

Senza dubbio è il carismatico Chris Roberson a fare la parte del maestro dei giochi, trascinando compagni e headbangers in ritmi veloci su cui potersi scatenare. Maybe Snday, Chenge e Yeah Man raggiungono lo scopo e nel tempo di tre di canzoni la folla sotto il palco è raddoppiata. Con il grande classico Blind Man si raggiunge definitivamente l’obbiettivo: band e pubblico interagiscono perfettamente cantando insieme il veloce ritorenello, mentre roteate di collo e pogo fanno capolino al di là della transenna.

I Bleack Stone Cherry si stanno divertebdo e stanno facendo divertire. Afa e calura sono state dimenticate in un angolo e si potrebbe continuare ancora per milto tempo. Purtroppo però, anche per loro arriva il tempo di salutare ed affidano la chiusura a White Trash Millionaire e Blame It On The Boom Boom, strappando corda, e pinte alzate ad un pubblico soddisfatto della performence.

E’ evidente come gli Stati Uniti con il loro rock e metal siano i protagonisti di questa giornata che, sebbene ormai abbia iniziato a camminare con il piede giusto registra una scarsa affluenzea di pubblico, che però, ormai da uqlche tempo, è tornato ad essere coprotagonista della giornata.

Il ritmo torna a farsi più cattivo con gli attesissimi Kill Switch Engage freschi di reunion con lo storico singer Jessie Leach ed in procinto di entrare in studio per le registrazioni del nuovo album. La band ha voglia di divertirsi, è evidente e mentre ripropone una decina di brani che tratti dai suoi due album, si lancia in una performance davvero movimentata. Su tutti spicca Adam Dutkieewich, capace chitarrista che tra un riff e l’altro macina infiniti chilometri correndo avanti e indietro sul palco. Il resto della band sta al suo gioco e scherza con chi da sotto il palco si lancia nel pogo, urlando ed alzando le immancabili corna al cielo.

Jessi nel frattempo dimostra di sentirsi davvero a suo agio in un ruolo a lui caro. E’ in forma, ha voglia di divertirsi e nello stesso tempo scherza e gioca con il pubblico. Anche per loro il tempo vola e tra applausi ed urla i nostri cinque salutano il gods Of metal, promettendo che presto torneranno in Italia con il loro nuovo album.
Se fino a questo momento la seconda giornata si aggira intorno ad una sufficienza scarsa, vuoi per il caldo, vuoi per i fastidiosi problemi causati dal ritardo che hanno fatto vivere i live come una corsa sulla distanza e infine per la scarsa partecipazione, da questo momento le cose cambiano.

Autore della drastica svolta inferta al ritmo della giornata è il biondissimo Sebastian Bach. Accolto da urla incontenibili di un pubblico che lo attende febbrilmente, lo scatenato frontman dà il via allo show con Slave To The Grind, che però non si riesce a godere fino in fondo acausa di un mal funzionamento del microfono. Velocemente viene posto rimedio al fastidioso inconveneiente, giusto in tempo per godersi Knicking & Screaming e Dirty Power. Lo show ha finalmente preso la gusta direzione e Bach si scatena come solo lui sa fare: divertente, ammiccante, plastico nelle sue pose, dopo aver scaldato la voce regala una carrellata di perle di casa Skid Row che mandano il pubblico in visibilio.

Here I Am, Piece Of Me, la struggente 18 & Life ci mostrano un artista capace che dopo una lunga carriera passata su palchi di tutto il mondo è ancora capace di emozionare ed emozinarsi, regalando stupefacenti eprestazioni. Sebastian Bach è in forma, la sua voce c’è, l’interpretazione è coinvolgente. Il pubblico reagisce ad ogni suo cenno ed è partecipe dello show. Questo è essere una vera rock star. Il tempo vola velocissimo, normale quando le cose stanno funzionando alla perfezione, ed i settatanta minuti di spettacolo sembrano dissolversi in un piacevole soffio hard rock.

Tra qualche gag e la struggente interpretazione di I Remeber You si arriva alla fine lasciata a Monkey Business e Youth Got Wild.

Il Gods Of Metal è finalmente ripartito con il piede giusto e si avvia verso gli ultimi due show: Within Temptation e gli attesissimi Guns’N Roses.

Dividere l’esibizione di Sabastian Bach dallo show dei Guns’N Roses, piazzando nel mezzo i Within Temptation non è forse la mossa migliore in una giornata che da poco aveva ritrovato la sua identità. Ciononostante va comunque sottolineato quanto di buono abbia fatto la band olandese dell’affascinante Sharon Den Adel.

Figli della scuola intrapresa dai Nightwish e portata avanti dagli Epica, i Within Temptation sono stati capaci di ritagliarsi un posto tutto loro interpretando in modo assolutamente personale un genere che spesso rischia di diventare qualcosa di già sentito.

Il combo è in gran forma e, nel fresco di questo inizio serata, sforna grandi classici come Ice Queen, Faster, Stand My Ground ed Angels accolti da cori ed urla di un pubblico assoltamente partecipe.

La bruna singer sfodera la sua voce da usignolo, suscitando approvazione da un caloroso pubblico stretto sotto al palco ed assolutamente partecipe e timidamente ringrazia dopo ogni canzone.
Mother Earth chiude i novanta minuti a loro disposizione. Ormai manca poco, al gran finale.

La proccupazione maggiore aspettando i Guns N’ Roses è il possibile ritardo con il quale l’imprevedibile frontman Axel Rose potrebbe presentarsi sul palco. L’ora di inzio dello show è prevista alle 21:45, ma già delle prime ore del mattino qualche roumors vuole che la capricciosa star arriverà con grande ritardo. I velonosi pettegolezzi vengono presto stroncati: alle 22:00 in punto, solo un quarto d’ora dopo l’orario previsto, la musica si spegne, si accendono le luci e scoppianofuochi d’artifico su un palco allestito con un enorme schermo centrale affiancato da due monitor più piccoli ai lati su cui campeggia il moniker Guns N’ Roses, mentre le note di Chinese Democracy sanciscono l’inizio dello show.

Ci siamo, sua maestà Axl Rose fa il suo ingresso sul palco: sfodera un impeccabile stile maturo con cappello da cowboy e giacca su jeans, occhiali da sole e pizzo biondo.

Un tripudio di urla lo accoglie e lui, giusto per ricambiare la cortesia, attacca il suo personale saluto con Welcome To The Jungle.

Il grande classico spalanca la porta ad It’s So Easy, Mr Brownstone, Rocket Queen ed Estarnged, che mostrano un Axel con il fiato un po’ corto ma comunque in forma. Colori, coreografie, immagini di repertorio ed inquadrature del pubblico e degli artisti si rincirrono sui megaschermi, mentre lui, il protagonista indiscusso della serata inizia i suoi cambi di look sfoggiando, magliette, giacche e cappelli diversi per ogni diversa parte dello spettacolo.

La set list prevede spazio anche per soli di chitarra di Tommy Stinson, Dj Ashba e di paino di Dizzy Reed, momenti che concedono un attimo di respiro allo stesso Axel ed al pubblico che ricarica le pile prima di tornare a scatenarsi ad ogni cenno del frotman.

Vederlo sul palco ancheggiare e cantare brani come Live And Let Die, You Could Be Mine, Sweet Child Of Mine fa tornare la mente agli anni Novanta; viene da pensare agli anni d’oro in cui i Guns N’ Roses erano all’apice del successo e cosa significava vederli in piena forma (droga a parte) su palchi come quelli dello Stadio Olimpico di Torino.

Oggi, inevitabilmente ci trovaimo davanti una rock star matura, che porta degnamente i suoi anni ed ancora in grado di regalare esibizioni emozionanti. La sua voce non è più quella di un tempo, è vero, ma Axel Rose svolge ancora egregiamente il suo lavoro e se l’estensione si è un po’ ridotta, il suo particolarissimo timbro è rimasto e la sua voce si è fatta più matura. La vera nostalgia rimane comunque ancorata al grande vuoto di Slash, colmato da ben tre bravissimi e capaci chitarristi che però non sono lui.

Nostalgia a parte, lo show prosegue ed alla fine si arriva a ben tre ore piene di spettacolo, che fanno sforare la chiusura di un’ora rispetto alla tabella di marcia.
Viene da dire: "Echisseneimporta!" soprattutto quando, seduto al piano Axel attacca con un’inaspettata Another Brick In the All che volge nella dolcissima November Rain.

Dead Flowers e Used To Love Her accompagnano verso la fine dello spettacolo, ma prima è tempo di invitare sul palco l’amico di una vita Sebastian Bach con il quele regalare una versione a due voci adrenalinica e graffiante di My Michelle.

Patience ed una breve ma intensa jam strumentale accompagnano al coronamento del successo con Paradise City che chiude lo spettacolo mentre tutti il pubblico la canta sotto una "pioggia" di coriandoli rossi che esplode su tutta l’area concerti dell’Arena di Rho.

Tra urla, braccia alzate verso il cielo, ed un’infinita richiesta di bis, si spengono le luci su questa seconda giornata del Gods of metal che, sebbene abbia risentito di qualche fastidioso intoppo di troppo ha comunque regalato momenti indimenticabili: solo il concerto dei Guns valeva la presenza sotto al palco.

Elisa Penati
Live Report a cura di Elisa Penati

 

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