Greg Dulli – Random Desire

Spesso accade che, ad un certo punto della sua carriera, uno dei membri fondanti di una band senta il bisogno di far confluire tutte le proprie energie compositive ed artistiche all’interno di un lavoro individuale, che sia il riflesso più intimo e personale di determinate esigenze espressive che vuole vengano ricondotte prettamente al suo nome e non a quello del progetto più ampio del gruppo di cui fa parte. Questo discorso, che pure è applicabile a tutti i componenti, risulta in linea di massima più effettivo se riferito a chi ha il ruolo di cantante.

Staccarsi momentaneamente dalla propria band, o uscire dal gruppo come Frusciante per dirla à laBrizzi, tuttavia, non significa rinnegare il potenziale comunicativo di un lavoro sinergico che, in modi differenti, consente comunque a tutti i membri di dare la propria espressione di sé. Semplicemente, a volte si ha bisogno di attribuire una forma diversa a quello che si ha dentro, svincolandola da qualsiasi altro tipo di relazione che ne limiti, anche implicitamente, la piena rappresentazione delle parti più profonde della propria anima. Talvolta accade anche che questa nuova forma vada a sovrapporsi, senza distaccarsi troppo, alla precedente. Ma c’è sempre una sorta di estremizzazione disperata di taluni aspetti che si vogliono esplorare in maniera più viscerale in versione solo.

Tutta questa chiosa per introdurre il primo lavoro solista di Greg Dulli, leader degli Afghan Whigs (oltre che di vari side projects, tra cui quello con i Twilight Singers). Qualche anno fa (nel 2005), Greg aveva già accennato ad un tentativo, rimasto poi incompiuto, di pubblicare pezzi inediti che portassero solo la sua firma con l’LP Amber Headlights. Ci sarebbero voluti altri 15 anni, però, affinché non portasse a compimento questo suo intento, con di mezzo tutta una serie di difficoltà tra cui la dolorosa perdita del chitarrista Dave Rosser. Tuttavia, si può dire con estrema tranquillità che l’attesa sia valsa tutte le aspettative.

Random Desire è infatti un disco di un livello altissimo, struggente e profondo, che riprende i picchi di sublimazione dolceamara di cui sono maestri gli Afghan dell’ultima ora per scrutarli in modo ancora più viscerale. Il risultato sono dieci tracce che si susseguono alternando magniloquenze elettriche dal sapore desert-rock (come non citare le meravigliose chitarre ruggenti, quasi ancestrali, di “Sempre”?) con suggestioni acustiche che servono a creare atmosfere crepuscolari tra arpeggi di chitarra, archi e pianoforte. “Scorpio” e “It Falls Apart” risultano i capitoli migliori in tal senso, grazie anche all’inserimento di orchestrazioni più complesse che ne rendono la struttura accattivante. Ma non sono gli unici pezzi in cui Greg si misura con strumentazioni diverse, perché nel disco figurano anche il triangolo (nella ballata cupa dai toni folk “Marry Me”), il violino (che fa capolino nel sound balcanico di “A Ghost”), tromba e arpa (nel conglomerato di distorsione dissonante e armonia melodica che è “Slow Pan”).

Di tanto in tanto torna, poi, ad essere predominante l’esasperazione ossessiva di riff che fanno riferimento a soluzioni grunge riconducibili per certi aspetti a quella perla che era stato Gentlemen (del 1993), come l’opener “Pantominma” o “The Tide”.

Un disco, infine, profondo, sia musicalmente che nella scrittura, pieno di bagliori chiaroscurali che esplorano le parti più intime delle paure e dei desideri sommessi figli di impulsi casuali, nascosti in fondo all’anima. È un lavoro in cui Greg ha messo tutto se stesso (ha curato da solo tutti gli arrangiamenti, ndr) e anche se si trattasse di una parentesi unica ed irripetibile nella sua carriera, sarebbe nondimeno da considerare un lavoro che si autocompleta alla perfezione da solo, racchiuso nella sua bolla di rarefazione artistica.

 

Tracklist:

  1. Pantomima
  2. Sempre
  3. Marry Me
  4. The Tide
  5. Scorpio
  6. It Falls Apart
  7. A Ghost
  8. Lockless
  9. Black Moon
  10. Slow Pan

 

A cura di: Francesca Mastracci

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