LE PARCHE, Indiepanchine – Monk (Roma)

A cura di Francesca Mastracci

Si è svolto ieri il sesto appunto della rassegna LE PARCHE, curata da Indiepanchine con la collaborazione di HitReview, Sei Tutto L’indie, The Parallel Vision, Radio Kaos Italy per promuovere nuovi artisti emergenti nel panorama della musica indipendente italiana.

Lo scenario è sempre quello del Monk di Roma, che in questa circostanza accoglie sul palco due progetti molto freschi e assai diversi tra di loro, con il comune denominatore della fermezza e della decisione con cui stanno impostando un proprio personale percorso artistico.

È a loro che viene dedicata la prima parte della serata che ha luogo sul palco più piccolo, quello disposto di fronte al mainstage dal lato opposto della sala concerti.

Apre le danze, con molto (forse troppo) ritardo rispetto al previsto, Il Cairo, al secolo Luca Zaliani, cantautore milanese electro-pop che si esibisce con i suoi musicisti. Sia livello sonoro che testuale, il set di Luca trasuda di nostalgia e voglia di andare al mare. Quest’ultimo, infatti, è il protagonista della maggior parte dei pezzi tratti dal suo primo album, uscito qualche mese fa, Maxi Giusto.  La prima mezzoretta scorre con il suo pop sbarazzino e ammiccamenti electro-funk inframmezzati tra ritornelli a presa diretta. Un inizio certamente inaspettato per chi era in sala appositamente per gli headliner, di cui avremo modo di parlare a breve.

Secondo nome in scaletta Luca Coi Baffi, che sì si chiama Luca e sì ha i baffi, ma insieme a lui sul palco c’è una band ben riconoscibile e rumorosa che non passa certo inosservata. I pezzi che presenta sono principalmente tratti dal suo nuovo EP Devo parlarne con mio padre e sono un concentrato di reminiscenze punk, vaghi accenni core e una buona spinta di sonorità pungenti urlate in faccia. Bella la cover di “Hipseria” de I Cani che, per chi è cresciuto in quella scena come chi scrive, è stato un bel colpo al cuore sia perché ci ha fatto rendere conto di quanto tempo sia passato da quel sorprendente album di inizio e sia perché ci ha fatto costatare come certe pietre miliari possano trovare il loro linguaggio a distanza di anni anche tra le nuove generazioni che, rimaneggiano, a modo loro una materia in fondo in fondo un po’ eterna. La band gioca in casa (Luca Casentini è di Valmontone, in provincia di Roma) e il parterre per loro si infiamma dal primo all’ultimo pezzo, trascinando progressivamente la carica che esploderà poco dopo sul palco centrale con i Gazebo Penguins.

Sono loro i protagonisti centrali della serata, anche se accumulando ritardi su ritardi, il loro live inizia a mezzanotte. Ma non è mai troppo tardi quando si viene richiamati da quei tappetti di suono nebbiosi e invalicabili che, ormai da qualche tempo, sono le porte d’ingresso di tutti concerti della band di Correggio.

Non ho mai fatto mistero che i Gazebo Penguins siano per me un atto di fede nei confronti della musica underground italiana, per questo cerco di scriverne con il contagocce, cercando di essere più oggettiva possibile nel descrivere le emozioni che riescono a tirar fuori sul disco e, ancora di più, sul palco. Perché sì, i Gazebo sono veri artigiani di un certo modo di concepire la musica come qualcosa di estremamente potente che si realizza a pieno solo nell’atto stesso della sua esecuzione. Per questo, a distanza di anni, restano sempre così autentici e fedeli a se stessi, lontani da ogni compromesso.

Capra, Sollo, Piter e (ormai il comprovato quarto penguin) Riki danno vita ad un concerto che segue la tradizione dell’annuale concerto al Monk. Che sia primavera, inverno, autunno o estate, rimane immutata l’atmosfera frenetica, i corpi che si spingono, le luci sparate, e quei i muri di suono impenetrabili che tanto ci sono cari, capaci di far convivere pesanti sfuriate e momenti di distensione ovattata che potrebbero durare all’infinito. La scaletta ripercorre qualche momento di Quanto, il loro ultimo disco, la cui copertina campeggia ancora nello schermo dietro di loro, toccando ovviamente i punti nevralgici della loro discografia, come “Difetto”, “Il Tram delle 6”, “Nevica”, “Nebbia”, “Soffrire non è utile” e ovviamente “Senza di te”, vero e proprio inno dell’hardcore generazionale nostrano.

Una certezza per chi li conosceva e anche per chi ha imparato a conoscerli ieri sera.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *