Spring Attitude – Day 2, Cinecittà Studios (Roma), 24.09.2023

Live report a cura di Francesca Mastracci

Proprio come una ventata d’aria primaverile all’inizio dell’autunno, lo Spring Attitude, giunto ormai alla sua dodicesima edizione, anche quest’anno è tornato ad accendere le notti romane di fine settembre confermando la cornice degli studi cinematografici di Cinecittà come location perfetta per accoglierlo.

Nella successione serrata di botta e risposta dei set che dal pomeriggio si alternano sui due stage posti sapientemente l’uno di fianco all’altro, la disposizione ottimale dei palchi consente, infatti, di godersi tutti i live da qualsiasi angolazione e a qualsiasi distanza, anche quando si cerca di posizionarcisi nell’immediato parterre del palco attiguo per guadagnare posizione in vista del successivo live, si riesce bene a sentire e vedere quello che sta succedendo sull’altro palco.

 

Come di consueto, le due serate del festival sono state all’insegna della commistione, singolare quanto audace, di elettronica, dance, cantautorato italiano e, quest’anno più che mai, rock alternativo.

Tra i protagonisti del primo giorno (andato sold-out), ci sono stati gli Archivio Futuro, nuova leva nella musica elettronica sperimentale e proposta molto interessante, e due gruppi che rappresentano la quintessenza di un certo modo di interpretare il rock acido e contaminato made in Italy: Bud Spencer Blues Explosion e Verdena (che finalmente si sono ripresi un smacco su Roma, visto il flop dal punto di vista dell’acustica che avevano/avevamo subito nella data del Palalottomatica lo scorso marzo – e chi c’era si ricorderà certamente di cosa parlo). Grande hype della prima giornata, tuttavia, soprattutto per il duo che ha reso le sonorità mediorientali materia da clubbing, gli Acid Arab, e la dj sudcoreana del momento Peggy Gou (alzi la mano chi non si è sorbito almeno una volta “It Goes Like (Nanana)” in una storia su instagram quest’estate).

 

Noi di Ondalternativa, però, siamo scesi in campo durante la seconda giornata del festival e ve la raccontiamo qui.

Inzio concerti ore 16,00. Si rispetta una certa intransigenza nella schedule fin da subito e la prima tranche della giornata è dedicata ad artisti giovani che hanno da poco fatto il loro esordio musicale. Apertura sul Molinari Stage affidata a GIIN, cantautrice dalla verve pop-rock con quel retrogusto smaccatamente novantiano declinato con il linguaggio fresco ma profondamente genuino che contraddistingue la sua generazione. Segue dallo Spring Attitude Stage il collettivo Studio Murena che vanta già un discreto seguito tra i presenti e mette su un set coinvolgente in cui si fondono insieme rap, jazz ed elettronica.

I successivi due set sono affidati rispettivamente a due ragazze: la prima, Ele A, presentata da Rolling Stone come la “next big thing” del rap italiano che parte lanciatissima e dimostra una buona capacità di fomentare il pubblico, mentre la seconda, Bluem, più morbida nelle sonorità, con strascichi r&b che si muovono sinuovi proprio come la lunga gonna bianca da gitana che indossa.

Inizia a far buio e sul palco salgono i Fuera, eccentrici ed originali rapper dal gusto psycho-techno, che certamente risultano ammalianti e coinvolgenti ma calcano sul pedale dell’estro talvolta in modo troppo massiccio ottenendo a tratti l’effetto contrario rispetto a quello che inizialmente sembravano voler suscitare. Torna Bluem sul palco per accompagnarli in quella che è probabilmente una delle esibizioni migliori del loro set.

Finito il loro set, segue un momento di calma (apparente) o comunque di stacco rispetto al mood elettro-pop e sullo Spring Attitude stage sale Lucio Corsi. Con la sua figura esile e teatrale, arriva e si prende a gamba tesa tutto il suo pubblico, catturandolo in una bolla di sospensione magica in cui si resta ammaliati dalle storie che narra e dalle trame sonore che “la banda” gli tesse intorno.

È l’unico elemento di questa seconda serata che non ci si aspetterebbe. Si presenta con delle ali di farfalla cucite sulle spalline della giacca ed il viso completamente tinto di bianco, come un etrusco David Bowie dai lunghi capelli o un moderno Pierrot che della sua malinconia ne ha fatto una corazza. Blues, chitarre dal gusto retro, sembra uscito da un’altra epoca o forse da un’altra dimensione. Poetica delicata che procede per immagini e suoni che invece sono robusti, il tutto incastonato in una cornice glam di splendida delicatezza.

Ha confermato il mio interesse nei suoi riguardi e la mia certezza che bisogna guardarlo da molto vicino.

Torna il mood irriverente e scanzonato di cui pocanzi e risponde dall’altro palco (ci siamo spostati al Molinari) Tutti fenomeni. Non nego che ero molto curiosa di ascoltarlo live, soprattutto perché dal suo esordio nel 2020 con Merce Funebre (prodotto da Niccolò Contessa, ndr) l’artista romano, in linea con il nome che porta, ha mostrato di essere abbastanza un fenomeno soprattutto per la gen z. Tra i flow melodici synth-pop e le spinte elettro-dub, sul palco dello Spring presenta i suoi pezzi corroborati da un citazionismo massiccio, anche eccessivo, e qualche stonatura che comunque, mah sì, fa vissuto, ci sta bene pure quella.

Regge bene il pubblico e chiude con il giusto apparato di carica la seconda tranche della serata, mentre si inizia ad attendere frementi l’arrivo sul palco dei Moderat.

Prima, però, dallo Spring Attitude Stage Christian Löffler si posiziona algido dietro la sua consolle e non c’è niente da fare, si vola insieme a lui nell’iperspazio. Le intricate composizioni che crea inanellano reiterazioni ritmiche attorno al suo personalissimo modo di interpretare un techno-ambient sofisticato e minimale. I beat si inseguono trascinati dal flow, a tratti dreamy, del dj teutonico. Un set super elegante e cristallino che fa ballare tutti, anche chi è già nel parterre dell’altro palco.

Venti minuti alle undici. Un breve silenzio carico di tensione ed eccoli che salgono sul palco, i più attesi della serata. Il set dei Moderat si apre ovattato con “Ghostmother” e il resto è una progressione continua che tocca i loro maggiori successi tra cui “Eating Hooks”, “Rusty Nails”, “A New Error”, “No. 22” e “Bad Kingdom”.

Il trio berlinese si conferma essere una delle più eccelse realtà nella musica elettronica idm di sempre. Live macinano come macchine inarrestabili ed è sempre un’esperienza unica poter assistere ai loro set.

Ipnotizzando completamente il pubblico, non solo grazie alle splendide visuals che corredano puntualmente i loro live, ma soprattutto creando delle vere e proprie impalcature di suono che sono materiche quasi per quanto risultano spesse. Occhi chiusi, braccia al cielo e corpi che non smettono mai di muoversi seguendo le fratture di suono sincopate, tra cacofonie ossessive e sublimi  ipnosi sintetizzate. Il taglio ricercato che la vocalità di Sascha Ring aka Apparat delinea una simbiosi perfetta con il sound avvolgente delle bordate beat.

Set perfetto!

Ultime due performance della serata affidate a Meg e HVOB. La prima, immersa in drappeggi bianchi con lustrini e organza sembra una nuvola vista da lontano. La cantante napoletana ex-99 Posse sul palco sale accompagnata dal dj Marco Fugazza e soprattutto nelle sue ultime produzioni restituisce l’impressione di avere di fronte una Bjork nostrana, partenopea nella cazzimma e nell’esecuzione. Pop denso, colato di venature elettroniche che lambiscono psichedelie sonore e creano un pastiche interessante che strizza l’occhio al clubbing europeo.

 

Perfetta la conclusione con HVOB duo austriaco composto da Anna Müller e Paul Wallner. I loro poderosi scenari fatti di caleindoscopici loop e stratificazioni minimal-techno creano un suono che perennemente si infrange tra le pulsioni velate che l’interpretazione vocale sussurrata, rarefatta, riesce a restituire. Circoli ipnotici compatti, bolle di rarefazione, giostre elettroniche. Il loro set è squisitamente pulito, impeccabile.

 

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