Remo Drive – A Portrait of An Ugly Man

Era la primavera del 2017 quando la band americana emo punk Remo Drive regalava alle stampe un esordio discografico che si distingueva per il piglio trasognato ed irriverente con cui veniva presentato il disagio generazionale e la frustrazione post-adolescenziale che i suoi componenti stavano vivendo all’epoca: Greatest Hits era il titolo (e già questo dettaglio la diceva lunga sulla loro verve). A distanza di soli tre anni, li ritroviamo con il loro terzo disco, A Portrait of An Ugly Man, uscito via Epitaph lo scorso giugno.

Solo tre anni, ma molte cose sono cambiate da allora: innanzitutto l’abbandono del batterista Sam Mathys all’alba di un inizio carriera che si prefigurava promettente per la band. Rimasti un power-duo, nel 2019 i fratelli Paulson (Erik – cantante, chitarrista – e Stephen – bassista) incidono un nuovo disco che sarebbe stato espressione del cambio di rotta sonoro che avevano deciso di intraprendere. Ma, probabilmente perché realizzato in maniera eccessivamente tempestiva, Natural, Everyday Degradationrisultò fin da subito un flop; la decisione di cambiare genere non aveva trovato una valvola di sfogo idonea per potersi esprimere e ogni zampillo di innovazione era rimasto in fase germinativa.

Ci pensa dunque A Portrait Of An Ugly Mana riprendere le redini di un discorso lasciato in sospeso troppo prematuramente, anche se, venendo alla luce con solo un anno di distanza dal suo predecessore in parte pecca anch’esso dello stesso demerito. Vero è che il suono risulta stavolta molto più definito, o comunque assemblato in maniera più coerente rispetto un anno fa; ma vero anche che lo iato che lo separa dal disco d’esordio del 2017 si fa sentire. Il grunge si è diluito quasi interamente nell’alt funk americano mentre i lasciti emo si sono trasformati in rigurgiti rock filtrati attraverso le lenti di ammiccamenti pop proto-smithsiani, destreggiandosi tra riff corrosivi e giri di basso accattivanti che, assieme alle testiere, segnano uptempo melodici facili e senza troppe elucubrazioni.

Ma se musicalmente il duo non sembra eccellere in particolari estri compositivi, dal punto di vista vocale si registrano belle prove di fraseggi ritmici. A livello di songwriting, anche, i testi registrano una buona capacità comunicativa, frutto del desiderio di rendere questo album il più introspettivo ed autoreferenziale della loro discografia. Al tempo stesso però, non si perde mai quell’imprinting di spensieratezza che li ha sempre caratterizzati come band.

Seguendo idealmente il fil rougeimmaginario della storia del protagonista a cui è dedicato il titolo che viaggia lungo tutta la tracklist, il disco si avvita attorno ad un percorso psicologico di autoaccettazione: specchiarsi, vedersi imperfetti e accettarsi per ciò che si è.

Infine, un disco godibile, che mostra due musicisti in grado di fare un passo avanti verso un futuro discografico incerto, consci di non appartenere più alle sonorità che li hanno resi noti al grande pubblico. Il processo di maturazione verso questa fase però non è ancora completo. Magari per il prossimo disco sarebbe meglio prendersi un po’ più di tempo e tradurre musicalmente gli intenti programmatici che ne muovono le fila.  Comunque bravi!

 

Tracklist:

1 – A Guide To Live By

2 – Star Worship

3 – Dead Man

4 – If I’ve Ever Looked Too Deep In Thought

5 – The Ugly Man Sings

6 – True Romance Lives

7 – Ode to Joy 2

8 – The Night I Kidnapped Remo Drive

9 – A Flower and a Weed

10 – Easy as That

 

A cura di: Francesca Mastracci

7.5

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