AMA Music Festival 2023 – Day 1, Romano D’Ezellino (VI)

La prima data italiana dei Turnstile non si scorda mai

Live report a cura di: Francesca Mastracci

Inizio col botto per l’ottava edizione dell’ AMA Music Festival che si sta svolgendo in questi giorni a Romano D’Ezellino (in privincia di Vicenza), nella cornice suggestiva del parco di Villa Ca’ Cornaro.

Il festival, preceduto da una data zero aggiunta poche settimane fa nel programma con i Verdena come headliner, ha ufficialmente avviato i battenti lo scorso 23 agosto inaugurando 5 giorni pieni di musica, contrassegnati da una line up al limite dell’eterogeneità.

Nello specifico, nella serata alla quale abbiamo presenziato noi di Ondalternativa c’erano in scaletta nomi che difficilmente chiunque tra i partecipanti avrebbe accostato insieme nello stesso contesto. Ma forse questo vuole anche essere un monito che ci invita a sganciarci dalle schematizzazioni prestabilite dai nostri gusti musicali o dai preconcetti che pur involontariamente tendiamo a stabilire in ambito artistico, dandoci, invece,  la possibilità di entrare in contatto con altre sottoculture e influenze che altrimenti non avremmo frequentato. Magari anche solo per capire ulteriormente che non ci piacciano. Chissà.

Di fatto il primo giorno dell’AMA Music Festival ha visto succedersi rispettivamente: i bnkr44, Nitro, White Lies e Turnstile, verso i quali, come ravvisabile dal nostro sottotitolo, si concentrava tutto il nostro hype.

Ma proseguiamo con ordine.

La serata inizia abbastanza puntuale verso le 18,30 con nuvoloni gonfi di pioggia all’orizzonte a minacciare una bella scrollata d’acqua. I primi a salire sul palco sono i bnkr44, collettivo originario della Toscana composto da sette ventenni, figli di quell’it-pop esploso sulla fine degli anni ’10, che certamente rappresenta una delle realtà più consistenti nel panorama nazionale, esploso grazie alla sua freschezza e alle sue melodie accattivanti (spesso paracule) a metà strada tra il malinconico e il trasognante, ma che alla lunga sta iniziando a risultare esageratamente ridondante in ogni suo aspetto. Di fatto comunque la band riesce bene ad accompagnare il pubblico sempre più numeroso che si avvia verso l’entrata disperdendosi o tra il sottopalco o tra gli stand enogastrnomici presenti in loco (menzione speciale va allo stand di Mezzo e Mezzo, il cocktail a base di rabarbaro prodotto dalla distilleria Nardini di Bassano del Grappa. Disclaimer: non è un adv, me ne sono semplicemente innamorata).

A metà set comincia a piovere e non accenna a fermarsi neppure durante il cambio palco. Quando sale Nitro il cielo pian piano sembra allargarsi, aprendo lo scorcio ad un bellissimo tramonto dietro il palco. L’annuncio di Nitro nella line up è arrivata due giorni prima dell’inizio del festival. Al suo posto avrebbe dovuto esibirsi Salmo (precedente headliner della serata) il quale, purtroppo, infortunato, ha dovuto cancellare tutto il tour estivo. Il fatto che non ci fosse Salmo è stata una notizia appresa con forte rammarico un po’ da tutti, anche da chi non aveva acquistato i biglietti prevalentemente per lui. In ogni caso il rapper vicentino si difende benissimo e coinvolge tutto il parterre con i successi più famosi della sua discografia (tra cui anche il pezzo “Marylean” dove nei feat figura anche Salmo) e con estratti dal suo ultimo lavoro Outsider uscito da qualche mese. Gioca in casa e questo gli dà una spinta di familiarità on stage che è comunque piacevole da vedere. Il suo set sembra durare più di quanto effettivamente duri. Ma, di nuovo, credo sia colpa dell’hype per la seconda parte della serata.

Intanto si fa buio e nella cornice semiscura del parco, si cambia totalmente ragistro: arrivano i White Lies, grandi aficionados del nostro paese, i quali, non avendo album nuovi da presentare, realizzano un live che è di fatto un medley cosparso di hit che si susseguono veloci una dopo l’altra, difficili da non canticchiare (come “Death”, “Farewell to the Fairground”, “There Goes Our Love Again”, “Hurt My Heart”, “My Love Enough”, “To Lose My Life”). Soprattutto per chi ha vissuto in prima battuta la nascita di un certo modo di interpretare il rock alternativo con quel fare molto stiloso ed elegante che guardava nostalgico alla new-wave di matrice Ottantiana, e che iniziava a muovere i suoi passi nell’Inghilterra nella prima decade degli anni Duemila.

Non nego che ai White Lies resto sempre molto legata, anche se ora ho smesso di ascoltarli come facevo una volta; uno dei primi live report che scrissi recensiva proprio un loro concerto e credo di aver avuto all’AMA le stesse impressioni che ebbi allora. Dal vivo il trio di Ealing ha mantenuto negli anni quella compostezza ed eleganza quasi ieratica che li ha sempre contraddistinti durante i loro concerti in grado però di scaldare il pubblico. Quasi una dicotomia ossimorica.

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È un set molto coinvolgente, il loro, senza troppa enfasi, che comunque ha l’infausto compito di essere preludio del caos che si sarebbe scatenato da lì a circa una mezz’ora dopo, quando l’atmosfera si carica all’inverosimile e compare la scritta Turnstile dalla scenografia in background.

Negli intermezzi, si sa, normalmente i fonici mettono in riproduzione della musica per riempire l’attesa tra un cambio palco e l’altro. Giuro di aver visto gente pogare sulle note di “I Wanna Dance With Somebody” di Whitney Huston tanto per farvi cogliere come tutto il parterre fosse un ordigno pronto ad esplodere.

E così è stato. Entrano sul palco sulle note sintetizzate di “MYSTERY” e non appena prende avvio il pezzo, parte il tripudio. Loro, totalmente detonanti, si dimenano sul palco con gli strumenti tra le mani come schegge impazzite e non tradiscono mai un minimo accenno ad arrestarsi. Il cantante, Brendan Yates, vortica in aria come se stesse eseguendo una coreografia di arti marziali miste, senza sosta. Daniel Fang, il batterista, è una macchina e  poco dopo la metà del live si lancia in un assolo incendiario (che ho provato a filmare per intero, ma dopo 3 minuti mi erano già venuti i crampi alle braccia, mentre lui sembrava stesse sbucciando un mandarino).

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Energia urticante allo stato puro che nasce dall’urgenza di sputare in faccia quei pochi essenziali concetti avvolti in ritmiche spigolose, e a tratti tribali, che li fanno risuonare in tutta la loro potenza. Lo sapevamo già, ma ne abbiamo avuto conferma vedendoli finalmente live: i Turnstile sono la migliore band hardcore in circolazione.

La scaletta che hanno proposto ha inframmezzato pezzi meno recenti  come i classiconi della loro discografia “Big Smile” “Gravity”, “Drop”, “I Don’t Wanna Be Blind”, “Fazed Out”e “Blue by You” e ovviamente gli estratti dal loro ultimo lavoro del 2021, GLOW ON, che ha avuto il merito di consacrarli a livello internazionale e li ha resi più popolari nel nostro Paese: oltre la già citata “MYSTERY”, compaiono ad esempio “UNDERWATER BOI”, “BLACKOUT, HOLIDAY” e T.L.C. (TURNSTILE LOVE CONNECTION)” che chiude in maniera eccelsa un live durato poco più di un’ora.

Ci salutano apostrofando quella che ai nostri orecchi ha tutta la pretesa di voler sembrare una promessa: “Until next time!”

Speriamo presto.

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