shame – Food For Worms

shame – Food For Worms

Recensione a cura di Francesca Mastracci

Osservando da vicino l’evoluzione della scena post-punk esplosa a cavallo dei primi due decenni del nuovo millennio, non abbiamo fatto a meno di notare in questi primi mesi del 2023 una diffusa tendenza alla svolta sperimentale tra le band che ne fanno parte. Ovviamente si tratta di un genere che di per sé corre il rischio costante di cadere preda dei propri stilemi, restando ingabbiato nella ripetizione claustrofobica degli stessi pattern che si agganciano su poche sparute variazioni sul tema. Bisogna, allora, re-inventare nuove formule: cedere al vezzo melodico o all’estro sinfonico, o entrambi, magari strizzare l’occhio al crossover o infarinarsi con l’indie-rock di stampo americano o, perché no, fare incetta della lezione grunge dei fab 90s.

Mettendo da parte il discorso black midi, band che ha da sempre dato sfoggio di una particolare attitudine verso l’interpretazione avanguardista del genere, la piega sperimentalista che abbiamo visto coinvolgere i Murder Capital (https://www.ondalternativa.it/the-murder-capital-gigis-recovery/) sembra avere la stessa natura di quella che abbiamo ravvisato ascoltando l’ultimo disco degli shame.

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ph: Pooneh Ghana

Il quintetto di South London ha da poco consegnato alle stampe Food For Worms (pubblicato il 24 febbraio per Dead Oceans), terzo capitolo in studio che segna un passaggio importante per la loro discografia. Dopo un esordio brillante nel 2018 con Songs of Praise, che li aveva immediatamente catapultati sotto i riflettori per l’immediatezza e l’urgenza con cui era stato concepito, Drunk Tank Pink del 2021 ebbe il merito di essere una continuazione meno brillante del suo predecessore.

È seguito poi un lungo periodo di stallo che stava rischiando di protrarsi in maniera quasi irreversibile per la band finché il loro management non li ha posti difronte ad una challenge: due settimane di tempo nel febbraio 2022 per preparare un live al Windmill di Brixon (il famoso locale dove avevano esordito nel 2018 nonché fulcro pulsante dei live club UK)  con una setlist composta da pezzi inediti. Sei delle dieci tracce che compongono Food for Worms provengono da lì e mantengono intatto il sapore della dimensione live che li ha visti nascere grazie anche alla registrazione in presa diretta, supervisionata alla produzione da quel deus ex machina di Mark Ellis aka Flood (produttore tra gli altri di Nine Inch Nails, Depeche Mode, Nick Cave, Placebo, PJ Harvey, Smashing Pumpkins).

Il risultato è un disco che Charlie Steen, frontman della band, ha definito come la loro personale Lamborghini, epiteto con il quale ci sentiamo di essere d’accordo per una serie di fattori; primo fra tutti, proprio per quell’immediatezza sonora che pure risulta elegante rielaborazione della potenza ritmica di derivazione post-punk. Nel suo modo di trovare espressione in composizioni che scardinano in termini di progressione l’incedere lineare dei pezzi, spesso ci troviamo difronte a brani che si divaricano e prendono direzioni completamente inaspettate sul finale (come “Yankees” che sembra un conglomerato di due diverse canzoni) o a modulazioni in cui si innestano abrasive sfuriate e morbide melodie orchestrali.

La traccia apripista “Fingers Of Steel” ne è un esempio, introducendoci timidamente in uno scenario ovattato con le prime note di piano per poi rifrangersi su evoluzioni groovy, ammiccanti, rette da un drumming sostenuto che si impasta a riff taglienti sul finale. Seguono capitoli, spalmati principalmente nella prima parte del lotto, legati a filo stretto con i dischi precedenti per atmosfere e impalcature ritmiche. “Six-Pack” è un baccanale di ricami distorti wha wha, mentre “The Fall Of Paul” e “Alibis” sono abrasioni noise punteggiate da linee di basso e suoni acidi che tratteggiano scenari claustrofobici dal sapore darkwave e metallico.

Di un taglio diverso sono invece pezzi intarsiati da un telaio sonoro più complesso, che si adagiano più volentieri su orchestrazioni melodiche morbide e malinconiche, come “Orchid” o la ballad “Adderall”, alla cui registrazione ha partecipato anche Phoebe Bridgers (nota a margine: nel giro di pochi mesi è la quarta volta – dopo Voina, Slipknot e 1975 – che capita di imbatterci in un titolo che fa riferimento al famoso farmaco a base di sali di anfetamina usato come stimolante cognitivo che nella maggior parte dei casi crea dipendenza in chi ne fa uso).

Particolarmente avvincente il trittico finale, composto dall’introspettiva “Burning By Design”, in bilico tra delicatezze pop e accelerazioni post-punk,  “Different Person”, intarsio di modulazioni e sontuose sovrapposizioni sincretiche, e “All the People”, chiosa eccelsa di un disco che a livello concettuale ripercorre temi come l’amicizia, la dipendenza (intesa come termine ombrello relativo ai suoi molteplici piani di applicazione) e si interfaccia con le piccole grandi difficoltà di esistere e che, eventualmente, sfociano nella paura di tramutarsi in mero cibo per vermi da cui il titolo.

All the people that you’re gonna meet
Don’t you throw it all away
Because you can’t love yourself
Oh, when you’re smiling and you’re looking at me
A life without that in it
Is a life I can’t lead.
(da “Different Person”)

Mi aggancio a questi versi  per fare menzione delle ottime lyrics, per potenza ed evocatività, interpretate magistralmente da Steen prestando un’attenzione maggiore rispetto alle prove precedenti riguardo il lavoro sul cantato, ma anche sulle backing vocals.

Infine, un disco denso e ricercato, non privo di sbavature, ricco di sonorità oblique più o meno fruibili. Una Lamborghini, sì,  sfrontata, riconoscibile, decisa.

Tracklist

01.Fingers Of Steel
02. Six-Pack
03. Yankees
04. Alibis
05. Adderall
06. Orchid
07. The Fall Of Paul
08. Burning By Design
09. Different Person
10. All The People

VOTO: 8,5

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